giovedì 12 giugno 2008

Di Marx e di altri demoni ciceroni

Dunque, vediamo un po’: oggi “la ggente” vuole, o dice di volere, l’espulsione degli immigrati che delinquono, un’occupazione sicura per sé e per i familiari, pensioni più alte, un buon rendimento del proprio risparmio, prezzi bassi, più concorrenza e anche meno finanza e più industria. Mi pare di aver messo quasi tutto, mafia e camorra passino pure, le loro malefatte impallidiscono al cospetto di quelle perpetrate dal mostro Rom.
Mentre a sinistra si balbetta di società aperte che non si come costruire, di solidarietà generiche che non riempiono la pancia a nessuno e di innovazione produttiva che nessuno sa da dove dovrebbe venire, da destra la risposta arriva imperiosa: manganello ed espulsioni, giù le tasse e guerra ai fannulloni, viva la libertà d’impresa, lotta dura alla spesa pubblica. E, soprattutto, fuori dai coglioni tutti questi rompipalle veterosinistroidi, che ancora non hanno capito che è il capitalismo il Sol dell’Avvenire: libertà d’impresa, propensione al rischio, fiducia nel futuro, la ricetta per le magnifiche sorti e progressive.
Io le risposte a ciò che non sono in grado di giudicare da solo di solito le cerco nei libri, e per questa occasione ne ho rispolverati tre, un paio dei quali davvero notevoli.
Cominciamo dunque da Giovanni Arrighi, Il Lungo XX Secolo, che ci racconta cosa è successo negli ultimi sette secoli, da quando ha cominciato a prendere forma quella cosa che oggi chiamiamo Capitalismo. Intanto vediamo dove siamo noi ora, in termini di quei cicli secolari (corsi e ricorsi?) che gli economisti hanno creduto di individuare in questa lunga storia: pare che la nostra epoca si possa classificare come uno di quei punti di svolta in cui un ciclo, raggiunto il suo apice, inizia il declino; è già accaduto nella storia, e quindi dovrebbe essere possibile farsi un’idea di cosa ci attende.
Io non sono Arrighi e non voglio scrivere un libro, per cui semplificherò parecchio, cercando di tenere presente ciò che può dare risposta alle sopra ricordate esigenze della “ggente”.
Un ciclo declina per tanti motivi, tra cui il fatto che la concorrenza dove poteva crescere l’ha fatto, causando la riduzione dei margini di profitto delle imprese (se il mio concorrente vende a prezzi più bassi devo farlo pure io, e quindi guadagnerò di meno). Il capitale accumulato negli anni d’oro quindi non trova remunerazione in patria, se non nelle avventure dell’alta finanza, che è complicatissima, ma sempre di meno che produrre bottoni e bulloni a prezzi inferiori rispetto ai cinesi.
Prima lezione: scordiamoci un ritorno massiccio dell’industria nel mondo occidentale.
Dice: ma noi ci dobbiamo specializzare nelle produzioni di qualità, ad alto contenuto innovativo e tecnologico, mica dobbiamo competere con i cinesi nel fare camicie. Ora, a parte il fatto che per fare l’innovazione ci vogliono gli innovatori, e da queste parti non se ne vedono; a parte che le nostre scuole e università se la battono con l’Uganda e il Burkina Faso; a parte questo, crediamo davvero di poter tutti lavorare nei settori ad altissimo valore aggiunto? Siamo cinquantotto milioni, dei quali una trentina in età da lavoro: un po’ troppi (e troppo ignoranti) per lavorare tutti in produzioni e servizi che, proprio per il loro alto contenuto di tecnologia, richiedono pochissimo personale iperformato.
Seconda lezione: scordiamoci di diventare tutti degli analisti in camice bianco, ne bastano pochi di quelli, e i più nemmeno sarebbero in grado.
Restano le occupazioni tradizionali, in cui è più alto il contenuto di lavoro manuale: ma per far concorrenza ai cinesi, toccherà accettare di essere pagati come cinesi, o poco di più.
Quindi il quadro è: sempre meno lavoro, e sempre meno pagato.
Perché questo? Perché è nella natura del capitalismo, e qui invece ci viene in soccorso Luciano Canfora (La Democrazia – Storia di un’ideologia).
Canfora ci spiega perché l’ideologia della libertà è funzionale al capitalismo, e fin qui siamo nell’ovvio: non può esistere impresa senza libertà; ma poi ci mostra come, in un habitat capitalistico, la libertà finisce inevitabilmente per essere la libertà di pochi, di quelli che hanno abilità e fortuna nel dominare e gestire i capitali. Può essere libero chi non ha un lavoro, chi non ha certezza del futuro, chi non ha accesso ai servizi primari?
Terza lezione: non la libertà, ma la sua icona, regge le nostre società. Generando disuguaglianze, che sono ineliminabili e anzi destinate a crescere sempre più, perché connaturate al capitalismo.
La libertà economica dei pochi che se la sanno conquistare mette a rischio la serenità di tutti gli altri: anche chi è avverso al rischio (quasi tutti) è costretto ad investire in borsa i propri accantonamenti previdenziali, attraverso i fondi pensione, se non vuole trovarsi alla fame in vecchiaia. La finanziarizzazione non si ferma, e anzi fa di noi – anche di noi che la detestiamo – i suoi clienti.
E ancora: Jacques Attali, nel suo Breve Storia del Futuro (il meno bello dei miei tre libri guida in questo excursus), ci racconta di come le grandi compagnie, ormai esauriti i profitti favolosi nei settori a grande sviluppo del passato – l’automobile, la televisione, la telefonia, ecc. – stiano erodendo a poco a poco, alla caccia disperata di nuovi business redditizi, la sfera dei servizi primari, quelli che una volta erano erogati dallo Stato.
La privatizzazione del servizio idrico è a buon punto in tutto l’Occidente, e scuola, istruzione, sanità stanno per cadere. Pagheremo, stiamo già pagando, per avere quello che prima era garantito a tutti, attraverso la tassazione. Ma le tasse, si sa, noi non amiamo pagarle: via l’ICI, e però via anche i finanziamenti alla scuola pubblica, e anzi, libri gratis alle private, meglio se cattoliche.
E crediamo davvero che sia possibile arginare le turbe sterminate che si affollano alle nostre frontiere, in un mondo che proprio le migrazioni di massa e la sostituzione di popolazione giovane a popolazione vecchia hanno reso quello che è oggi?
E che dire della criminalità? Qui mi tocca aggiungere in quarto Cicerone in questo tour dell’orrore prossimo venturo, e scelgo Roberto Saviano, con il suo terribile Gomorra: la criminalità che genera il sette percento del nostro prodotto lordo è devianza o è invece, davvero, ‘o Sistema, come più correttamente la chiamano da Caserta in giù? Crediamo davvero di poter fare a meno di questa entità, probabilmente l’unica realtà veramente produttiva di questo paese?
Ma qui “la ggente” è coerente, e non risulta che nessuno, alle ultime elezioni, abbia perso voti per eccessiva vicinanza a certi personaggi.
Penso di potermi fermare. Del resto, sto scrivendo per mia memoria, tanto in questo blog non ci viene nessuno e se qualcuno ci viene io non lo so, perché non sono stato capace di installare un contatore per le visite.
Ma nel caso estremamente improbabile che qualcuno si affacciasse e addirittura si leggesse tutta questa tirata, una precisazione finale la voglio fare: non è che tutto questo discorso l’ho fatto per dire che faremmo meglio a tirarci un colpo in testa subito, e nemmeno per assecondare certa sinistra che fa dell’odio di classe il suo vessillo (Anche i ricchi piangano, mitico e spettacolare autogol da campagna elettorale); anche perché quella sinistra, ottusa, è pure ignorante assai, e tutte queste cose semplicemente non le sa.
Ho scritto solo per ricordare, non fosse ad altri che a me stesso, che ci siamo comprati a scatola chiusa una truffa che si chiama capitalismo, che finora ci ha dato una parvenza di libertà solo perché sono un paio di secoli che, anziché affamare noi, affama gente in altre parti del mondo, lontane dalle nostre ridenti contrade. Ora che quelle genti hanno iniziato a reclamare la propria parte della torta saranno dolori, perché importeremo non solo i loro prodotti, ma pure un bel po’ di miseria di ritorno, sotto forma di disoccupazione diffusa, salari bassi, precarietà ed esclusione dai servizi primari. Il terzo mondo a casa nostra c'è già, come si è visto con evidenza palmare a New Orleans, quando sulla città di abbattè l'uragano Katrina.
In Italia poi la truffa l’abbiamo comprata doppia, perché a rappresentare questi valori – già di per sé farlocchi – troviamo gente che non solo non ha cuore l’interesse collettivo (non potrebbe, se davvero crede nel liberismo), ma proprio se ne frega anche delle regole base della società liberale. Che vanno bene quando si tratta di autotutelarsi (via le intercettazioni), meno bene per qualche povero disgraziato (manganellate e foglio di via alle prostitute, che francamente più che delinquenti mi sembrano in gran parte povere vittime).
Tutte queste cose, per strano che vi sembri, un signore di nome Karl Marx le aveva indovinate più o meno un secolo e mezzo fa; magari non proprio tutte, riconosco che la politica italiana è in grado di sorprendere anche il più sfrenato futurologo, ma insomma, per il resto si può dire che ci aveva azzeccato alla grande. Peccato che al suo seguito si siano appalesati i marxisti, che certo lui – fosse vivo – non avrebbe amato, se non altro per l’ignoranza che li contraddistingue.
Ma Marx, Arrighi, Canfora, Attali e Saviano i nostri imbonitori non li leggono, e del resto non ne hanno alcun bisogno. Cosa più grave, non li legge nemmeno “la ggente”, che invece ne avrebbe un gran bisogno, e non lo sa.
Buona apocalisse a tutti!

domenica 8 giugno 2008

Back from Cruccolandia

Cari affezionati miei non-lettori, questa volta il Gattopuzzo vi ha dovuto abbandonare per un po', essendo stato dislocato per lavoro in quel di Frankfurt-Au-Main, Cruccolandia.
Vi parrà strano, ma un giramondo di prima classe quale io mi pregio di essere, mai aveva calcato il suolo di Alemandia, peraltro ben noto alla mia signora, che si picca invece (a ragione) di loquire un tedesco perfetto, frutto di lunga permanenza in una vita precedente.
Causa stanchezza post week end sarò insolitamente telegrafico e andrò subito al sodo: chi pensa che certi popoli stiano meglio di noi in quanto a cartacce per terra e più in generale decoro urbano, educazione stradale (leggi: macchine parcheggiate nei parcheggi e non in mezzo alla strada, pedoni lasciati attraversare senza tema di essere spalmati sulle ruote dei SUV) per maggiori e più arcigni controlli, si può mettere l'anima in pace. In tre giorni, che sono pochi ma comunque qualcosa sono, non ho visto non dico una carta per terra, ma nemmeno una cicca; parcheggi sul marciapiede, uno solo in estrema periferia; pedoni agonizzanti dopo arrotamento, nessuno. E, quel che più conta, non ho visto un poliziotto e neppure un vigile, mai da nessuna parte. E di cestini per l'immondizia ce ne erano quanti a Roma, anzi, forse di meno. Allora, come la mettiamo? Non sarà che questo nostro invocare il Grande Fratello (e di questi tempi pure il Grande Inquisitore) contro le orde di malfattori e di invasori che minacciano il sacro suolo patrio sia niente di più che l'ennesimo alibi creato dalla nsotra cattiva coscienza di sudditi che mai e poi mai impareranno a essere cittadini?