giovedì 28 maggio 2009

L'un contro l'altro armati

Brunetta: «In polizia troppi panzoni»

Questo paese sta dando troppa corda a gente come questo ministro, che si attacca a problemi veri per bandire crociate populistiche. Che ci siano i marescialli panzoni dietro le scrivanie lo sappiamo (e lo deprechiamo) tutti; che il problema possa essere risolto aizzando il furore popolare contro un'intera categoria è criminale. Ma si sa, oggi va tanto di moda dare risposte semplici a problemi complessi: illude che la soluzione sia dietro l'angolo, basta malmenare il mostro di turno. Del resto, Alemanno ha vinto le elezioni a Roma promettendo di cacciare 20.000 Rom da una città che ne ospita 4.000, e la gente lo ha votato: questo per dire la capacità di discernimento di una massa imbufalita e sbavante che una volta si chiamava opinione pubblica.
Da dipendente (quasi) pubblico, mi sono stancato di lavorare come un mulo – come tantissimi altri colleghi, che portano avanti la baracca facendo anche le veci di chi non lavora: perché c'è, questa gente, non lo scopre certo Brunetta - sentendomi qualificare "fannullone" un giorno sì e l'altro pure da questo individuo, che quando era parlamentare europeo è andato a Bruxelles una volta su cinque e vanta un cursus honorum che definire opaco è fargli un complimento.
Lo so che è inutile, ma ci (riprovo lo stesso a dire: stiamo attenti, questa gente sta sfasciando il tessuto sociale mettendo, a turno, una categoria contro l'altra. Dipendenti privati contro dipendenti pubblici, imprenditori contro lavoratori dipendenti, genitori contro insegnanti, nordisti contro terroni (vecchio leit motiv) e tutti insieme appassionatamente contro i Rom e gli immigrati. Ognuna di queste battaglie non si risolve con l’attribuzione di diritti a chi non ne ha, ma con la spoliazione di quelli che ne hanno ad opera di chi sta peggio. Il risultato netto è il progressivo impoverimento di tutti e l’aumento esponenziale dell’incazzatura collettiva, che puntualmente viene sfruttata lanciando crociate (e depauperazioni) sempre nuove, che a turno finiscono per toccare tutti. Anzi, no, tutti non è vero: non toccano gli evasori fiscali, più che mai legittimati e addirittura coccolati; non toccano le caste, tanto vituperate quanto protette, avendo il governo del solerte Brunetta smantellato (nottetempo verrebbe da dire, tanto non se ne è accorto nessuno) le pur timide liberalizzazioni di Bersani; non toccano i politici, che dopo aver tirato il sasso nascondono la mano (che bisogno c’è di una legge di iniziativa popolare per ridurre i parlamentari, quando ci sono proposte già in iter che non vengono discusse?).
Siamo quindi al più incredibile dei paradossi: un governo (e un premier, un ministro) sostenuti entusiasticamente da un'orda berciante che da quel premier, da quel ministro e da quel governo viene quotidianamente umiliata e bastonata. In cambio di cosa? Ma è ovvio: della torva e inconfessabile soddisfazione del rito orgiastico collettivo, del pogrom catartico a cui un intero popolo si sta abbandonando con voluttà, incurante delle ferite che si autoinfligge, purché a ciascuno sia concesso di infierire su qualcun altro, fosse pure per una volta sola.
Basta leggere la cronaca: a Roma un signore si sente male alla guida, provoca un tamponamento e viene linciato dalla folla, compresi diversi passanti del tutto estranei ai fatti; vivo per miracolo, viene operato al cervello; a Palermo, per bloccare un folle che aggredisce la gente a martellate devono intervenire due clandestini, perché tutti gli italiani presenti se la fanno sotto, salvo tentare il linciaggio una volta che il tizio è stato immobilizzato; un indiano che dorme in stazione viene dato alle fiamme per divertimento, e a distanza di un paio di mesi non è dato sapere se sia vivo oppure morto; un ragazzo nero di nazionalità italiana viene ucciso a sprangate per aver (forse) rubato un pacco di biscotti; a Napoli un campo Rom pieno di bambini viene incendiato di notte e nessuno finisce in galera; a Roma un rumeno arrestato troppo in fretta per uno stupro che non ha commesso viene assunto in un ristorante e deve essere subito licenziato perché gli altri dipendenti si rifiutano di lavorare con lui, anche se è innocente.
E per i pedofili? Pena di morte, ulula la massa in coro; e intanto, però, un premier che da almeno un mese si impappina e si contraddice sui suoi rapporti con una minorenne viene difeso a spada tratta da una nazione intera, compatta come un sol uomo.
Già una volta gli italiani si innamorarono follemente, fino a perdere il lume della ragione, di un Uomo della Provvidenza: se c’è bisogno di ricordarlo, quella volta l’avventura finì a Piazzale Loreto, e la strada per arrivare fin lì fu lunga e costellata di catastrofi. Sarebbe proprio così sconveniente, cercare di evitare il bis?

domenica 24 maggio 2009

Ciao, nonno

Ascoltando Radio 24 ho scoperto l'esistenza di un progetto bellissimo, che è la banca della memoria. Si tratta di un sito che raccoglie materiale - soprattutto interviste - a persone anziane che hanno qualcosa da raccontare. E quale persona anziana non ne ha? Un vecchio che muore è una biblioteca che brucia, dice un vecchio proverbio africano. Purtroppo oggi di biblioteche ne stiamo lasciando bruciare a migliaia, senza fare granché per preservarle, per cui questo progetto mi pare davvero meritevole. Ma se volete saperne di più, andate alla fonte: http://www.bancadellamemoria.it).
C'è una sezione del sito in cui il visitatore è invitato a postare un ricordo di un nonno, e di questa occasione sono davvero grato: mio nonno è una delle persone che più ho amato, e purtroppo mi ha lasciato che ero ancora bambino; stranamente, non mi era mai venuto in mente di scrivere su di lui. Ora ho colmato la lacuna, e il suo ricordo lo propongo anche a voi. Non è un capolavoro, ma per me è davvero una perla. Ciao nonno, è passato tanto tempo, ma mi manchi ancora. Mi mancherai sempre.


Nonno Emanuele era un vecchio alto e secco dagli occhi azzurri, con una piega all’angolo della bocca sottile, come una smorfia. Per tutta la vita pastore, in gioventù quasi mai aveva dormito dentro una casa: capanne e grotte, nel buio, al freddo, alla pioggia, in un tempo oggi così remoto da sembrare di fiaba, in quell’Abruzzo aspro che gli aveva modellato il corpo, nodoso e severo. Un anno dopo l’altro, sulla montagna dietro alle greggi, e poi transumare: Puglia, Agro Pontino, campagna romana, dove infine eresse l’ultima capanna, che diventò casale e infine casa per quattro figli trapiantati, la più giovane sposò un fabbro che fece di lui mio nonno. Io giocavo sulla scalinata fiorita della capanna ormai sbocciata in una linda casetta e lui raccontava, mai stanco; la voce sommessa e continua, quasi assorto, pareva parlasse tra sé e invece gli urgeva di incidere in me, come con il coltello nella corteccia di un tronco giovane, la memoria dei suoi cieli e dei suoi pascoli, e di un dolore antico, mineralizzato nelle ossa di una stirpe di faticatori senza nome, il dolore dei poveri di ogni tempo. Parlava e parlava, le parole fluivano dalle sue labbra inseguendosi l’un l’altra, come l’acqua di un ruscello che scavalchi una roccia dopo essere sceso dai picchi innevati giù, sempre più dentro alle valli ormai ombrose della sua memoria. Io ascoltavo del cane Morgante, il coraggioso cacciatore di lupi, del possente toro Colonna che portava in groppa il nonno bambino e che durante la grande guerra era diventato carne da sbobba per l’esercito; in silenzio raccoglievo in me tutta la poesia del vecchio pastore che scioglieva la sua vita calante in un inno appena mormorato agli alberi, alla roccia, all’erba, al sole e alla neve. Di poesia traboccava, quel vecchio mite che nella vita vagabonda aveva sempre portato nella bisaccia pane, vino, formaggio e due libri consunti: Orlando Furioso, Gerusalemme Liberata. Furono quelle le mie favole: non Biancaneve o Cenerentola, ma la spada Durlindana, l’Ippogrifo, Astolfo sulla Luna, il senno perduto di Orlando, l’armi pietose e il capitano… Quando se ne andò fu lieve. Disse di lui un poeta che non ha peso, la semplicità.

domenica 17 maggio 2009

Il prezzo del successo

E andiamo di nuovo ad esibire, con orgoglio, la crescita impetuosa del nostro blog. Non è che adesso a gestirlo siamo più di prima, però il plurale maiestatis è d’obbligo, nella celebrazione di successi tanto lusinghieri.
E si dia dunque il via alle danze con la nuda serie mensile delle visite, di per sé eloquente senza bisogno di commenti o chiose:

Certo, la strada è ancora lunga e non ci nascondiamo le difficoltà ulteriori che dovranno essere affrontate, sulla strada dell’affermazione planetaria; per rendersene conto, sia sufficiente questo secondo grafico, che altrettanto esplicitamente del primo mostra come la fidelizzazione dei lettori sia ancora di là da venire, se è vero che la maggior parte (felloni!) non per richiesta diretta ci raggiunge, avendo magari diligentemente provveduto ad aggiungere la URL nei bookmark, ma solo attraverso il motore di ricerca:

Ma, nella modestia operosa che rappresenta il nostro segno caratteristico, siamo consapevoli che sarebbe stata malsana presunzione pretendere il lancio nell’empireo degli opinion leader senza pagare il salato prezzo di dure fatiche e indefesso lavoro editoriale. Lo stesso, però, è difficile mantenere l’understetment, che pur da sempre ci contraddistingue, a fronte di risultati di questa portata, insperabili e insperati quando ci imbarcammo nell’impresa.
Che dire? Il puzzopensiero si sta ormai diffondendo a macchia d’olio nella rete, in attesa di straripare nel mondo reale… O almeno in un reality, che tanto di questi tempi fa lo stesso e anzi probabilmente è meglio assai.
Perché parlo così, chiedete? Ve lo dico subito. O meglio, ve lo dirà la terza statistica, quella chiave, anzi quella delle chiavi, intendendo per tali le chiavi di ricerca in base a cui i navigatori che osano sfidare i gorghi immani del Maelstrom della Rete approdano infine al nostro modesto eppur sicuro porticciolo. Ve le snocciolo così, senza stare a sottilizzare sulle quantità, cioè quante volte ricorre una chiave e quante un’altra, tanto più o meno le frequenze si equivalgono:

Cazzo
pesce cazzone
mastica cazzo
il cazzo grosso mentre lo ficca in culo
pisello torto
cazzone volante
nodo al cazzo
cazzo a chiave
vecchio cazzo marcio
testa de cazzi


Che c’è, vi siete stupiti? E questo è solo un assaggio! Leggete qui sotto, se volete divertirvi davvero:

cazzo in testa
gioco di cazzi in culo
cazzo in tiro

e poi una serie di varianti di una raffinatezza tale da indurre alla riflessione. Che avrà avuto in testa, per esempio, quello che ha dato in pasto a Google una chiave come cazzo in contemplazione? Sarà forse alla ricerca di un qualche nirvana sessuale?
Cambiando genere: esisterà davvero nell’elenco telefonico il sig. Giuseppe di Cazzo?
Più fantastica, invece, l’ispirazione di quelli che, evidentemente attratti dal post sui supereroi padani (i mitici Watchmen), sono giunti qui alla ricerca dei loro beniamini:

uomo cazzo
super cazzo
super cazzone

E anche di qualche fantastica creatura da bestiario:

pesce cazzo
pianta cazzo

così come non manca, sempre tra i padani, quello che invece si è spaventato leggendo delle imprese dei vu’ cumprà sulle spiagge romagnole (sempre nel post dedicato ai watchmen) e, da buon imprenditore, ha voluto documentarsi sull’offerta della concorrenza:

dimensioni pene nero
turco con il cazzo più lungo

e poi, evidentemente spaventato, si è rigirato da solo il coltello nella piaga, andando alla ricerca di un possibile termine di confronto con i prodotti della casa (capita, no? Che quando qualcosa ti fa male e non vuoi crederci vai a scavare in profondità, per essere proprio sicuro sicuro):

minidotati foto

Ma ci sono anche altre rappresentanze territoriali, oltre a quelle padane:

cazzo lazio

e non mancano copiosi riferimenti alla zootecnia, forse da parte di produttori o gourmet impegnati nello sviluppo di varianti gastronomiche da inserire nella carta di qualche prestigioso ristorante del circuito slow food (o almeno, speriamo che sia slow: anche il protagonista di tutti queste chiavi di ricerca, così come il cibo, pare venga poco apprezzato in versione speedy gonzales):

patate a forma di cazzo
salsiccia a forma di cazzo

C’è qualche amante del macabro:

bare per teste di cazzo
morto nella bara con il cazzo dritto

e qualche navigatore portato alle grandi domande metafisiche:

che cazzi esistono?
cazzo magico
cazzo simpatico

Qualcuno è più diretto (chissà, magari alla disperata ricerca di un amore perduto):

il cazzone di Gianni

Escluderei, comunque, che si tratti del mio amico Gianni (non perché sia minidotato, pettegoli: è solo che proprio non ce lo vedo, coinvolto in una storiaccia di sesso da strada).

Qualcun altro la butta in psicanalisi:

cazzi in testa

E infine, visto che ogni salmo finisce in gloria, chiudiamo l’elencazione puntigliosa delle chiavi di ricerca con quella più ecumenica:

mazzo di cazzi

così, senza andar troppo per il sottile: li cercano e se li accattano a fasci, come sono sono.

Con questo abbiamo esaurito la categoria delle ricerche trasversali. E sì, perché il riferimento all’entità così citata in tutte le chiavi suddette compare in più post, anche se pochi. C’è invece un vecchissimo post che sembra appartenere alla categoria dei long seller, continuando indefessamente a portare acqua al mulino del GPZ: è quello che tanti mesi fa dedicai alla vigilessa mia collega di tanti anni fa, che da sempre sfrizzola il velopendulo di quanti si lanciano nei marosi della rete alla ricerca di:

divisa polizziotta porca
polizziotta sexi
calze a rete vigilessa
vigilessa maiala

e non mi fa piacere il fatto che mi trovino, nonostante gli errori di ortografia (però io nel mio post non ne ho fatti, ho verificato) e altre infinite varianti sul tema che non sto qui ad elencare e che prima o poi raccoglierò in un post autonomo.

Carine anche le chiavi di ricerca che puntano al post della mia corsa in go-kart di novembre, a Londra:

maccine da corsa
machine da corsa
maccine da carsa

Anche qui, come vedete, ad uscire incidentata è pure l’ortografia, e non solo il Gattopuzzo che si schiantò all’ultimo giro.

Insomma, siamo diventati popolari. Adesso tocca lavorare per raffinare i gusti del pubblico… Oddio, si vede proprio che sono un pseudo intellettuale del cazzo (la parola ormai si può usare, tanto, più sdoganata di così…) cresciuto negli anni settanta: fossi più moderno, starei contento così come sto e anzi… Vi ricorda nessuno, questo particolare modo di accalappiare audience? Se rispondete di no, siete perfetti cittadini del nostro tempo, e però vi pregherei di sciacquarvi via dalle mie pagine alla velocità del lampo, che certamente tra noi l’amore non potrà sbocciare.

Concludendo: il successo ci arride, anche se non proprio del tipo che avevamo auspicato. Ma siamo di bocca buona, e ci accontentiamo. Unico problema, le pari opportunità: mi pare infatti che il pubblico sia decisamente monogenere. Il prossimo impegno, quindi, sarà quello di rimodulare la produzione editoriale per migliorare l’offerta al pubblico femminile. Sperando che almeno loro, le donne, siano in grado di dare un tocco di gentilezza alle mie statistiche. E pensare che è pure il mio mestiere, la statistica!

P.S. naturalmente, dopo questo post mi aspetto un'impennata delle visite al blog: vogliamo scommettere?

mercoledì 13 maggio 2009

Io non sono razzista...

Oggi, tanto per cambiare, ho bisticciato con un paio di colleghe plaudenti ai cosiddetti “respingimenti” degli immigrati sui barconi. Entrambe in palese contraddizione con le proprie convinzioni personali, orgogliosamente sbandierate: sinistrorsa una, cattolica l’altra. Ora, non è che io abbia la pretesa di essere necessariamente nel Vero e nel Giusto quando dico che si tratta di nostri simili in condizioni spaventose, e che anche solo per questo andrebbero soccorsi e accuditi: so bene che esistono milioni di altre possibili posizioni – tutte coerenti - secondo cui è lecito non solo buttarli nei lager di Gheddafi, ma anche evitarsi un simile disturbo semplicemente speronandoli e rimanendo a guardare mentre affondano. Sono posizioni che rispondono al nome di Fascismo, Nazismo, Razzismo e così via, tutte con la maiuscola perché argomentabili (e infatti lungamente argomentate) in senso filosofico. Come dire: a me personalmente fanno schifo, ma purtroppo è vero che, date determinate premesse, ragionamenti ferrei consentono di giungere a quelle dottrine senza incorrere in alcuna contraddizione. Invece le due donzelle, ovviamente, tengono a ribadire piuttosto aggressivamente, quale premessa, di non essere assolutamente inquadrabili in nessuna delle categorie di cui sopra – io non sono razzista... - e anzi, rendono testimonianza di appartenenza a comunità che dovrebbero metterle al di sopra di qualsiasi sospetto di becerume. Verrebbe da completare la loro premessa con la stanca battutaccia - … no, chiaro che tu non sei razzista, sono loro che sono negri... - con la “g” politicamente scorretta. Insomma, se un nazista convinto mi viene a dire che li dobbiamo affogare io reagirò con la dovuta dose di violenza e cercherò di affogare lui (che farà lo stesso con me), ma ne riconoscerò l’onestà intellettuale; a queste due che dovrei dire? O meglio: cosa dire alla cattolica lo so, e infatti le ho detto che la sua chiesa ha da tempo smesso di essere cristiana, dal momento che se Cristo fosse rinato a nostra insaputa starebbe con ogni probabilità su uno di quei barconi, magari pilotato da Simon Pietro il pescatore di Galilea; lei, quindi, a suo modo è coerente, perché la sua religione ha rimosso Cristo da un bel po’, se non come testimonial per il marketing confessionale (la figura ha sempre un suo fascino) e ha riabbracciato l’arida crudeltà del dio degli eserciti veterotestamentario, quello che se ne sta lassù sempre incazzato e del tutto alieno da pietà e comprensione. Lei non ha gradito, ma non mi pare sia possibile altra spiegazione a una contraddizione tanto flagrante tra quello che si professa e quello che si fa.
E l’altra? Quella di sinistra, dico. A quella, oggettivamente, cosa dire non lo so. Non trovo una sola posizione, nella sinistra passata e presente, che possa autorizzare una licenza tanto schifosa. A meno di non andare ai totalitarismi del secolo scorso, che pure a modo loro erano anche terzomondisti.
A entrambe, invece, e all’oceano sterminato di teste di cazzo che parlano e agiscono come loro – Io non sono razzista, ma... - qualcuno dovrebbe chiedere: ma che cos’è, per voi, essere razzisti? No, perché se non è razzismo invocare l’epurazione dello straniero dal proprio suolo, negare le aggressioni finite nel sangue e nel fuoco, arrivare a dire che si tratta di esagerazioni dei media, che sono sempre pronti a denunciare i crimini contro gli immigrati e mai quelli commessi da loro (!), plaudire a chi intercetta in mare zatteroni carichi di poveracci, bambini e donne incinte e li ributta in mezzo al deserto; se non è razzismo questo, allora che cos’è, secondo voi, il razzismo?

giovedì 7 maggio 2009

Gianni e Roberta

Qualche giorno fa sono andato a pranzo con Gianni e abbiamo parlato di politica, che è come parlare di calcio con Pelè. Gianni è un mio amico che per lavoro frequenta tutti i giorni gli ambienti della politica e sarebbe un ottimo insider, se solo non avesse un’etica professionale talmente inflessibile che in tanti anni non ero mai neppure riuscito a capire che pendeva a destra, tanto è attento a non far trasparire le sue opinioni. Adesso però l’ho capito e quando ci vediamo mi scatta spesso il tic di provocarlo, un po’ perché mi pare impossibile che una persona della sua intelligenza e della sua cultura, profondo conoscitore degli ambienti della politica internazionale e per di più nella posizione ideale per vedere da vicino le gesta di certa gente, possa pensare che in questo paese il meno peggio è Berlusconi; e un po’ nella speranza, che si rivela sempre vana, di scucirgli qualche informazione ghiotta, di quelle che a noi comuni mortali non è dato conoscere. Ovviamente lo devo fare con molto garbo, sennò non accetterebbe il confronto. Di solito la cosa si svolge così: io parto all’attacco con una stoccatina di fioretto, lui mi guarda, si prende il suo tempo per riflettere e poi comincia a girarmi al largo, quasi volesse invitarmi ad affondare altri colpi. Cosa che faccio sempre, ricavandone ogni volta la frustrantissima sensazione di non averlo neppure scalfito. Poi piano piano, lentamente, inizia lui a dispiegare la sua strategia. Che non è quella solita dei berluscones, gridata e prepotente, anzi: lui la sua inclinazione – per me perversa - la veste di necessità metastorica, evoca personaggi e scenari di cui spesso io non conosco neppure l’esistenza, cita tomi ponderosi di pensosissimi studiosi su cui si è formato, prende il nano alfa e tutta la sua corte di giullari e saltimbanchi e pure la disastratissima sinistra e li proietta in un cosmo in cui operano forze che agiscono e fanno la Storia, in un iperuranio in cui sono possibili cose che voi umani non potete immaginare, per dirla con il replicante di Blade Runner; e poi, dopo aver disposto tutti i pezzi del gioco in quella misteriosa iperscacchiera, ridistribuisce le ragioni e i torti, districa grovigli di cause ed effetti, svela fini che resterebbero per sempre oscuri se non fossero illuminati dalla luce gelida di quel luogo situato al di là dell’esistenza, e che anzi la contiene. Alla fine, com’è come non è, mi trovo a convenire che sì, insomma, quello che mi sembrava delittuoso forse proprio del tutto criminale non è, che in fondo in fondo forse sì, uno può anche pensare in buona fede quella cosa che magari non è proprio irragionevole come era sembrata a me, che certo, la sensibilità di ciascuno non si discute e il mio cuore batte da un’altra parte, però visto in questa prospettiva anche l’odiato nemico le sue ragioni ce le ha… a questo punto lui, elegantemente, sapendo di aver raggiunto lo scopo, si sfila dal confronto e riporta l’astronave sulla terra – allora, quand’è che ci vediamo a cena con le signore? Vorremmo farvi vedere la nostra nuova casa... E a quel punto capisco che l’ora della politica è finita, e mi ha bastonato un’altra volta...
Però quanto ho imparato! Appena torno in ufficio lo devo subito raccontare ad Antonio, il mio capo, che la pensa come me ed è fazioso più di me: gli devo dire, devo condividere, devo far capire anche a lui che ci sbagliamo, che il terreno del confronto è un altro, devo portare anche a lui quest’epifania delle ragioni dell’avversario, che se non le comprendiamo mai lo potremo sconfiggere... E mentre parlo mi incarto, e Antonio il toscanaccio mi guarda come se fossi uscito di senno – A Maurì, ma che 'azzo dici? – No, aspetta che non hai capito, io volevo dire… - Ma che? Tu me sta' a di'che le veline nel parlamento stanno bene lì, che la riforma della magistratura co' il pubblico ministero sotto il piede del ministro è 'na trovata che manco Cavour, e la Gelmini e pure la 'arfagna hanno da sta' lì indove stanno... Ma sei diventato tutto 'oglione? Guarda che 'l tu' giudizio quest'anno ancora 'un l'ho fatto mica, mi sa che faccio ancora in tempo a malmenarti, mi sa...
E in effetti io sto dicendo proprio quelle cose che dice Antonio, non vorrei ma questo dico, e porca miseria, ma dove si è persa quella trama grandiosa che intorno a queste faccende aveva intessuto Gianni, incastonandocele dentro come piccole pietre che necessariamente lì devono stare, o al più come minuscole imperfezioni nell'intarsio maestoso della Storia? Che fine ha fatto il Cosmo-oltre-la-Storia che mi aveva rivelato? Perché da solo non sono capace di tornarci? Corro corro per spiccare il volo e ci riesco quanto può riuscirci un tacchino, e poi a pensarci bene... ma davvero è possibile, sia pure nell’Ultramondo, dare un senso che non sia la decadenza al cavallo di Caligola in Senato? Perché, tornando tra i mortali, è di questo che stiamo parlando, e come cazzo ha fatto Gianni a irretirmi in quella maniera, a circuirmi e alla fine a ipnotizzarmi fino a farmi fare, adesso, questa figura di merda? Batto prontamente in ritirata adducendo una riunione che non ho, lascio Antonio a meditare esterrefatto sul mucchio di idiozie che gli ho appena sciorinato, mi chiudo in stanza, furibondo.
E fosse almeno finita qui... La sera dopo me ne tocca un’altra, del tutto diversa ma altrettanto frustrante, una gentile pulzella che ha nome Roberta e che, a differenza di Gianni, invece del fioretto usa la sciabola, così come io, quando non sono con Gianni, amo dare di piglio alla scimitarra o anche alla clava. E tra due soggetti così sono cornate furiose, trattenute solo dall’affetto e dall’amicizia, e mi sa che finiamo pure per fare due palle così a tutti gli altri partecipanti alla cena, con le disquisizioni che partono dal gazebo del PD (argh! lo detesto!) a piazza Vittorio e finiscono con me all’attacco del pensiero liberale e lei che si mastica Marx e tutti gli hegeliani insieme alle buonissime seppie ripiene di Marilena. E più parlo più mi gaso, e più mi gaso più mi radicalizzo, più mi radicalizzo più le sparo grosse, una videocamera mi ci vorrebbe, per rivedermi, che mi sa che sembro Stalin che vuole fare i piani quinquennali, e lei pure mica è da meno, adesso manco me lo ricordo quello che diceva, ma dimmi tu se uno fa una discussione con un’amica e invece di cercare di arricchirsi nel confronto si ingarella perché la vuole spuntare a tutti i costi (e lei pure però... Vero? Tanto lo so che prima o poi vieni qui a leggerti questo post, confessa che pure tu mi volevi stendere...). Insomma, siamo stati la rappresentazione vivente dello spettacolo indecoroso di tutto quello che la gente di sinistra fa per far vincere gli altri. Ovvero: parlare di cose di cui non frega niente al 99,9 per cento delle persone raziocinanti; ritenere quelle cose tanto fondamentali da rappresentare un solco insuperabile, anche se poi nel vivere quotidiano (che è la vera cartina da tornasole) le differenze significative tra noi ci vuole il microscopio a effetto tunnel per trovarle; fare – l’ho già detto – due palle così a chi ci stava intorno. Eppure ero proprio convinto di avere ragione! Anzi, ora che ci ripenso, è che la foga mi ha fatto incartare, perché altrimenti cara Roberta ti avrei detto… insomma, il mio pensiero... Quello che voglio dire… NON LO SO!!! Però c’ho ragione!
E con questo chiudo. Se vuoi approfondire la citazione colta dell’ultimo paragrafo, eccoti il link: http://www.youtube.com/watch?v=W_jKVgVBCpA&hl=it.
Guardatelo, è davvero divertente! Spero solo di non somigliargli troppo...

sabato 2 maggio 2009

La fede e il rigore

Premesso che io non sono minimamente attrezzato per disquisire di teologia, questa lettera a un religioso (che non rispose mai) a me pare l'embrione di un manifesto per una chiesa e una dimensione pubblica della fede che purtroppo storicamente non sono esistite mai. L'autrice di questo libro è Simone Weil, figura eminente nel pensiero del secolo scorso; desidera ardentemente il battesimo e, anche se non lo dice, sa benissimo di avere poco da vivere, minata dalla tubercolosi; non per questo è disposta a venire a patti con la sua vocazione, che - chiarisce lei stessa - è quella di passare tutto al vaglio dell'intelligenza. E questo chiede, con chiarezza estrema che sconfina nella durezza, al religioso a cui si rivolge: posto che lei non è disposta ad abdicare all'uso della ragione, è disposta la Chiesa ad accoglierla così com'è? Sono conciliabili le sue opinioni con l'appartenenza alla Chiesa cattolica di Roma? Lei chiede con l'urgenza di chi ha bisogno, sollecita una risposta che non arriverà, e nel chiedere svela queste sue opinioni che altro non possono essere che eretiche, alle orecchie dei guardiani dell'ortodossia: la rivelazione non più come fatto storico circoscritto nel tempo e nei luoghi, ma piuttosto evento in accadimento perenne, che illumina tutti gli uomini di ogni tempo e di ogni civiltà; la salvezza che non è dono esclusivo di una comunità, perché è invece disponibile per tutti, compresi gli atei che agiscono bene; i miracoli ridimensionati a fatti tutto sommato secondari, e comunque ricondotti a una dimensione potenzialmente razionale, senza che per questo cessino di essere ciò che sono, e cioè prodigi. E tra una domanda e l'altra si delinea l'immagine di una Chiesa che non impone, ma propone, che accetta nel suo seno coloro che si interrogano, che non rifiuta agli individui la ricerca, e che pone come unica condizione di appartenenza la fede in un Dio buono. Una chiesa vasta e inclusiva, il contrario di ciò che è diventata oggi. E che era anche allora, se in fondo la vera preoccupazione degli interlocutori della Weil era semplicemente trovare il modo di battezzarla, cosa che non avvenne mai. O forse sì, sul letto di morte, come qualche tardiva testimonianza è arrivata infine a notificarci. Per arruolare anche lei, lucida o no che fosse, nella legione sterminata di quelli che alla fine hanno comunque baciato la ciabatta.