sabato 21 marzo 2009

Sul carattere nazionale degli italiani (brutta gente)

Alla fine li hanno trovati, pare. Gli stupratori veri, quelli della Caffarella, che il DNA - prova di nuovo "inoppugnabile" secondo gli stessi giornali che una quindicina di giorni fa si affannavano a smontare il mito della "prova regina" - inchioda senza possibilità di errore.
Resta il fatto che abbiamo definitivamente sancito il nuovo principio giuridico secondo cui chi è accusato di un reato deve essere ritenuto colpevole ed essere lui a dimostrare la propria innocenza, se è straniero, povero e con una brutta faccia; altrimenti resta in galera, anzi: ci resta anche dopo che la sua innocenza è stata dimostrata, dato che non risulta che i due rumeni Loyos e Racz siano stati liberati. E Loyos il Brutto rimane anche sotto accusa per lo stupro di Primavalle, benché anche in quel caso il DNA - che in quell'occasione non è che sia stato trovato diverso: non è stato proprio trovato - lo scagioni, e lo scagioni pure il riconoscimento della presunta vittima, che prima si è detta sicura e poi ci ha ripensato. E quanto valgano, i riconoscimenti fatti da persone traumatizzate e sotto pressione, lo dimostra proprio la sicurezza esibita dai due fidanzatini della Caffarella. Mi sa che il DNA dei rumeni è infallibile a corrente alternata, dipendendo l'infallibilità da quello che ci si vuole dimostrare, con questa magica molecola.
Mi piacerebbe davvero sapere dove sono, in questa vicenda, i pasdaran del garantismo di casa nostra, quelli che si sono stracciati le vesti per Del Turco, per tutti innocente a prescidere, al punto tale che ormai i giornali non parlano nemmeno più di cosa è accusato, ma solo del fatto che l'hanno messo in galera; ingiustamente, è chiaro. O quelli che hanno fatto le barricate per Storace, che spiava gli avversari politici con i mezzi della regione Lazio che amministrava e che invece di andarsene a casa come Nixon (per chi non lo sapesse, lo scandalo Watergate esattamente questo era: spionaggio ai danni degli avversari politici) è diventato prima ministro e poi senatore. E che dire del mitico Totò Cuffaro, "Vasa Vasa", il presidente di regione che porta le paste in tribunale perché l'hanno condannato "solo" a cinque anni, invece che a quindici o a venti? Pure lui senatore, mantenuto principescamente da noi e difeso da tre quarti di Sicilia.
E' comprensibile, certo: un conto è dare e prendere bustarelle, un conto manifestare inequivocabilmente la tua essenza di mostro con un reato rivoltante come lo stupro. Tanto rivoltante da rimanerti attaccato addosso, una volta che ti hanno accusato, anche se non sei stato tu: in fondo, la faccia da stupratore ce l'hai, sei pure rumeno, che vuoi? Marcisci in galera, che tanto qualche cosa l'hai fatta, non venire a dire di no.
Poi, sì, capita che per esserti messo in tasca i soldi con cui avresti dovuto aprire un reparto di rianimazione la gente schiatti, o che per aver chiuso tutti e due gli occhi su un sito di smaltimento illegale di rifiuti tossici qualche bambino si ammali di tumore - l'Italia è campione di tutto l'Occidente per tasso di incremento dei tumori infantili, in diminuzione ovunque tranne che da noi - ma vuoi mettere con uno stupro? In fondo hai fatto anche del bene, no? Hai messo in moto appalti, fatto girare soldi, dato lavoro a padri di famiglia. A degli incapaci che hanno fatto ancora più danni delle tue bustarelle, qualcuno dice? Ma via, chi è senza peccato scagli la prima pietra: dove sono, in Italia, tutte queste persone capaci? Se avessimo fatto un concorso sarebbero entrati comunque altri incapaci, tanto si sa, la scuola è quella che è e i ragazzi di oggi di fare sacrifici non hanno più voglia, ma poi mettono su famiglia anche loro e devono pur lavorare e campare, sono pur sempre figli nostri, o no? Lo sappiamo, l'Italia è questa, ha sempre funzionato così, non si può cambiare.
Ho torto? Temo di no: questa è l'indecente, ottusa, puzzolente spazzatura che costituisce ormai il "carattere nazionale" italiano, tanto per usare un concetto comprensibile a questa massa ululante e critpofascista che è diventato quello che una volta tentò di essere un popolo. Del resto, se è considerato lecito parlare di carattere nazionale per i rumeni, che avrebbero "lo stupro nel DNA", come ha annotato con autentico zelo scientifico uno dei nostri politici più in vista, perché non usare questa categoria anche per inquadrare l'idiozia malvagia ostentata senza più pudore dalla maggior parte degli abitanti di questo paese?
Se rinasco elefante, dotato di quella memoria proverbiale di cui tanto avremmo bisogno tutti, voglio tenere a mente e nel cuore le sensazioni buie di questi anni, in cui tanto è evidente lo scivolamento verso un'amoralità che in passato ha provocato catastrofi. Se la coscienza non si ribella davanti alle aggressioni fisiche alle minoranze, alla polizia che picchia gli studenti e difende i provocatori fascisti (ormai è la regola, è successo a Piazza Navona, a Roma, e più recentemente a Bergamo, per non parlare del G8 di Genova di qualche anno fa), vuol dire che la coscienza se ne è andata a dormire. Se credessi in un Dio pregherei perché ci salvi da quello che sta per arrivare. Che per molti invece non arriverà. Chiaro che lo spero anch'io, che non arrivi, ma i segnali mi sembrano poco equivocabili.

giovedì 19 marzo 2009

Perché davvero non accada mai più

Ho appena finito di leggere La banalità del male, di Hannah Arendt. Non è un bel libro, ma è un libro importante: offre diverse chiavi di lettura per capire quali motori hanno generato quella che, fosse anche solo per le dimensioni, è senz'altro la tragedia più orribile della storia del genere umano. Parlo dello sterminio degli ebrei, naturalmente.
Uscì negli anni sessanta, dopo l'esecuzione di Eichmann, sulla cui vicenda processuale il libro è imperniato. Eichmann, criminale nazista, fu rapito dai servizi israeliani in Argentina, dove era rimasto nascosto (neanche troppo) per quindici e più anni dopo la fine della guerra. Il processo si svolse a Gerusalemme tra squilli di tromba e fanfare; la Arendt - e forse solo lei poteva farlo, in quanto ebrea lei stessa - svela il gioco politico e propagandistico che sul processo fu montato: guardate - ci dice - che quest'uomo non è il demonio; questo, come millanta e millanta altri piccoli ometti come lui, è solo un conformista. E' per conformismo, per carrierismo al più, che si è prestato con tanto zelo a facilitare lo sterminio, di cui del resto non è stato ideatore e in fondo neppure esecutore, essendo in capo a lui responsabilità di tipo più che altro logistico. E comunque, sembra dire la Arendt, in quella vicenda di mostri non ce ne sono stati, a meno di non voler dare questa patente all'intero popolo tedesco, che tutto unito ha forse fatto sentire qualche mugugno, ma niente che assomigliasse ad un'ombra di opposizione per quello che stava accadendo e che, da un certo momento in poi, cessò di essere un segreto.
Eppure non è vero che l'apparato nazista fosse così monolitico da non lasciare spiragli a nessuna opposizione: basti vedere - argomenta la Arendt - cosa ha fatto in Danimarca il governo, che nonostante l'occupazione si è rifiutato di consegnare gli ebrei; o addirittura, in Bulgaria, tutto un popolo, che si è impegnato a nascondere, difendere, salvare pressoché tutti gli ebrei che vivevano lì. Per fare quello che è stato fatto nei campi di sterminio serviva collaborazione da parte di tutti, compresi - e qui sta la grande bestemmia della Arendt - i capi ebrei; e collaborazione fu data, con le motivazioni più varie, compresa quella aberrante dei consigli ebraici, che sostennero fosse meglio che fossero altri ebrei, piuttosto che i nazisti, a scegliere chi doveva vivere e chi no.
Il processo a Eichmann è stato vissuto da Israele, o almeno i suoi politici hanno tentato di farlo vivere, come rito fondante: un popolo che finalmente ha ritrovato una terra si leva a giudicare chi l'ha offeso; solo che questo sarebbe stato possibile riducendo in catene un Hitler, un Heidrich, un Himmler, non il grigio burocrate che era Eichmann; e allora Eichmann fu inventato genio del male, e lui si adattò a meraviglia a questo ruolo, che finalmente gli dava un palcoscenico dopo una vita passata nell'ombra, mero - benché zelante - esecutore di ordini altrui. Gloria finalmente, anche se a costo della vita. In questo Eichmann servì bene i suoi nuovi padroni, come in passato aveva servito bene i vecchi: ora si voleva da lui che indossasse la maschera dell'annientatore di popoli, e lui volentieri la indossò, così come in passato aveva altrettanto volentieri pianificato la deportazione di milioni di esseri umani che non odiava e contro cui non aveva assolutamente nulla, ma che gli era stato ordinato di cacciare come fossero prede.
Si capisce che l'autrice, con questa tonante denuncia della nudità del re, si sia attirata il biasimo, quando non l'odio, di molti altri appartenenti al suo popolo; e probabilmente anche di molti che ebrei non erano, perché alla fine il messaggio è devastante per tutti, nella sua evidenza solare eppure pervicacemente negata: il male è in tutti noi, i nazisti non erano mostri venuti da Marte, ma persone che un po' alla volta hanno abdicato alla propria umanità e hanno portato tutto un popolo a fare lo stesso, passo dopo passo. Varrebbe la pena riflettere su questo cammino sciagurato, adesso che lo stiamo ripercorrendo beatamente ignari della Arendt, della sua lezione e della storia: ronde, impronte digitali ai Rom, voglia di pogrom, aggressioni ormai quotidiane a stranieri, omosessuali, addirittura a disabili. Ma non lo faremo, non rifletteremo, il segno è stato già passato. C'è solo da sperare che qualcosa dall'esterno giunga a fermarci, anche se non so immaginare cosa.
Altri libri di spessore sul tema dello sterminio degli ebrei - in generale sui meccanismi degenerativi che possono portare un uomo, o un popolo, a scordare del tutto la sua condivisione della condizione umana con qualche altro miliardo di viaggiatori a bordo di questo pianeta - sono La parte dell'altro, di Eric Emmanuel Schmitt, e Le benevole, di Jonathan Littell. Del primo c'è da dire che è un'opera letteraria di grande valore, oltre che un documento importante: l'autore fa l'esperimento terribile di ficcarsi dentro Hitler e immaginare per lui una storia alternativa, quella che avrebbe potuto avere se avesse deciso di affrontare i suoi fantasmi e le sue frustrazioni; il secondo, in forma di romanzo, non è - secondo me - un bel libro, dal punto di vista letterario. Però è anch'esso importante, come lo è quello della Arendt. Anche qui l'esperimento è di quelli da far tremare le vene e i polsi: l'autore descrive in prima persona il disordine interiore ed esteriore di un giovane nazista, omosessuale per giunta, che attraversa gli anni trenta e poi la guerra e descrive l'orrore che cresce intorno a lui e dentro di lui, la riluttanza dei soldati a darsi al massacro e poi quel conformismo che appartiene a tutti e che li porta ad eseguire gli ordini e spesso a odiarsi per questo, e quindi a sfogare la propria rabbia proprio sulle vittime della persecuzione, colpevoli, per il solo fatto di esistere,di averli messi di fronte al passo terribile che era stato chiesto loro di compiere dai loro capi. Passo estremo, di rinuncia alla propria stessa umanità, e che comunque è stato compiuto anch'esso.
No, non è storia di mostri quella del nazismo, come non lo sono tutte le altre terribili storie di massacri e cattiveria di cui è costellata la nostra permanenza su questo pianeta, fin dal nostro apparire. E' che gli esseri umani - tutti gli esseri umani - sono capaci di efferatezze tali da far impallidire Barbablù, se posti nelle condizioni adatte; così come sono capaci di atti sublimi (meno spesso, purtroppo). La retorica dei vincitori e la propaganda hanno sfruttato la paura di identificarsi con carnefici così crudeli per edificare una mitologia in cui ci sono stati i cattivi e i buoni che li hanno affrontati e sconfitti, ma non è andata così, come testimoniano anche il bombardamento di Dresda e le bombe di Hiroshima e Nagasaki, assolutamente non necessarie se non in chiave di politica post bellica.
Se davvero vogliamo evitare che fatti come la Shoà, o il genocidio degli Armeni, o la mattanza tra Hutu e Tutsi in Ruanda, l'undici settembre, lo sterminio degli indios americani e mille e mille altri possano ripetersi, dobbiamo prendere atto del piccolo Hitler che vive dentro ognuno di noi. Solo sapendo che c'è possiamo trovare il modo di tenerlo a bada, perché se invece lo neghiamo - come lo stiamo negando da settanta anni - siamo fatalmente destinati ad esserne sopraffatti. E dovremmo anche avere il senso della Storia, la consapevolezza che questo mondo che abitiamo in Occidente - fatto, bene o male, di democrazia e di un certo benessere, di una certa libertà - non è scontato, è anzi un accidente della storia, esiste da nemmeno un secolo, e potrebbe scomparire in un batter d'occhio se certe tendenze sfuggissero di mano. Ma questo, forse, è già successo, e un altro passetto verso la barbarie è stato compiuto come casualmente, inosservato nell'assordante clangore della volgarità montante, che sempre più trasfigura in malvagità.

lunedì 16 marzo 2009

Ai confini della demenza

- Ma sì che so’ stati loro, ancora ‘sta storia della prova del DNA…
- Come “’sta storia”? Cioè, come fanno a essere stati loro se il DNA non è il loro?
- Ma dai… Ma hai visto che facce? E quello ha pure confessato, poi…

La conversazione è “campionata”, nel senso che è rappresentativa delle tante a cui mi è capitato di partecipare (o anche solo ascoltare) sul caso dei due rumeni accusati di aver stuprato una quattordicenne il giorno di San Valentino, e poi (quello con la faccia più brutta) anche una quarantenne, qualche giorno prima, a Primavalle, a Roma.

- E allora di chi è questo DNA?
- Ma che ne so… E poi quello che ha confessato ha raccontato cose che le potevano sape’ solo i colpevoli, come faceva a saperle lui? Oh, coincideva tutto con quello che aveva detto il ragazzetto, hai sentito, no? E so’ stati riconosciuti, che altro vuoi?
- No, queste cose sono state dette sul momento, a caldo, subito dopo la confessione, ma poi è venuto fuori che c’erano parecchie cose che non coincidevano, e addirittura il ragazzo aveva riconosciuto anche un terzo uomo, oltre a loro due, uno che però non poteva essere lì perché era in Romania.
- E allora com’è che a quello con la faccia da pugile l’ha riconosciuto pure la donna stuprata a Primavalle?
- Ecco, appunto… Prima l’ha riconosciuto e poi ha detto che in realtà non era sicura… E alla fine è venuto fuori che su di lei il DNA non è che era diverso, non l’hanno proprio trovato. Anzi, hanno trovato quello di un egiziano con cui era stata la mattina di sua volontà, quello sì, e invece quello di chi l’ha aggredita la sera no, non l’hanno trovato. Mi pare un po’ poco, un riconoscimento ritrattato, per incriminare qualcuno.
- Sì, vabbè… Però stanno ancora in galera, segno che qualche cosa hanno fatto.

Insomma, per la maggior parte dei nostri concittadini il caso è chiuso a dispetto dei fatti: DEVONO essere stati loro.
Questo dovrebbe dare, a quei pochi che ancora sono capaci di usare il cervello, la misura dello sfregio che trent’anni di televisione commerciale e quindici di egemonia berlusconiana hanno rappresentato per la democrazia e la civiltà in questo paese.
Ormai la polizia e i giudici hanno ragione a scatola chiusa se bastonano i rumeni, e hanno torto per definizione se intercettano qualche politico o se cercano (sempre meno) di fare qualcosa contro il tifo ultras; stranieri colpevoli “a prescindere”, diceva Totò, e gli altri…

- Beh, sì, non saranno stinchi di santo, ma in fondo in Italia per rubare si è sempre rubato eppure siamo sempre sopravvissuti… Anzi, finché c’è stata la DC e c’era Craxi rubavano, ma almeno i soldi li facevano gira’ e ce n’era per tutti, invece guarda che cazzo hanno combinato questi della sinistra co’ ‘sta storia de Mani Pulite, e tutti ‘sti stranieri che hanno fatto entrà, che schifo! Se stanno a preoccupà de quello che ha preso la bustarella all’ufficio tecnico e invece a questi che arrivano, sporcano, rubano, violentano je vorrebbero dà pure la casa popolare… Giuro che se ce provano li vado a buttà fora co’ le mani mia… Li ributto in mare io, li ributto…

Pure questa tirata è campionata, nel senso che non ho sentito proprio questa qui, ma ne ho sentite decine e decine di equivalenti; il dialetto è quello romano del posto in cui vivo, ma non c’è copyright: è stata e viene quotidianamente riprodotta in milanese, in napoletano, in barese, in torinese e chi più ne ha più ne metta.
Ecco, questa è la “rabbia popolare” che tanto piace a tanti nostri concittadini, che ci sguazzano per esorcizzare frustrazioni e insufficienze sociali e personali. Chi l’ha suscitata gongola, chi la esprime (un popolo con il cervello ormai all’ammasso) è ormai solo capace di ululare: hanno sete di sangue, non importa di chi. E intanto uno o più stupratori veri sono in giro e due poveracci invece stanno in galera, e quotidianamente a tutti noi – anche a chi ulula, ma tanto loro non sanno che farsene – viene sottratto un pezzo in più di libertà, e qualche diritto scompare ogni giorno (quello di decidere da soli come vivere e come morire, quello di pagare i servizi pubblici il giusto, e non anche per chi le tasse non le paga, quello di avere una scuola decente, e mille altri).
Poi, se a questa marmaglia berciante e ormai pronta a impugnare i forconi andate a chiedere, uno per uno, quali problemi abbiano avuto con gli stranieri, quali furti abbiano subito loro, quali pericoli abbiano corso le loro donne, li vedrete boccheggiare come tanti pesci rimasti senza ossigeno; in compenso la mancanza di lavoro, una scuola che ai loro figli non insegna più una ceppa, una sanità sempre meno pronta a soccorrerci, un inquinamento che fa dell’Italia l’unico paese occidentale con un incremento della mortalità infantile per tumore, queste cose sì, le patiscono…

- E te pare che so’ questi i problemi? Io quanno esco pe’ strada vojo sta’ sicuro, no che me devo guarda’ le spalle che sennò qualcuno me ce pianta un cortello…
- No, scusa, ma quanta gente conosci che uno straniero gli ha piantato un coltello tra le spalle?
- Aho’, ma che palle! E mo’ ricominci?
- Ricomincio sì, perché ti vorrei far ragionare: ti stanno derubando con la tua stessa complicità, ti stanno togliendo tutto grazie al tuo stesso voto.
- Ma che dici?
- Che ti prendono per il culo.
- E come farebbero, scusa?
- Per esempio con la televisione…
- E sì che so’ cojone! Che te credi, che non so’ capace de giudicà le cose co’ la testa mia?
- Mi sa di no… Per esempio, nella storia di questi due rumeni non ti è proprio passato per la testa che forse la confessione a quello gliel’hanno estorta i poliziotti rumeni a forza di botte o con un ricatto, perché non si erano coordinati con la polizia italiana e pensavano che quelli, di fronte alla confessione, il test del DNA non l’avrebbero fatto…
- Seeee, vabbè! Me sa che guardi un po’ troppi film, tu…
- Forse sì, abbastanza per sapere che il DNA lascia margini di dubbio (molto piccoli) quando viene identificato, ma dà certezza pressoché assoluta quando invece non coincide: quindi non possono essere stati loro.
- Mamma mia che palle! Ancora ‘sta storia del DNA…

giovedì 12 marzo 2009

Se i messaggi sono quelli Giusti

Cesare mi telefona e mi fa: - perché non ci vediamo stasera? – Va bene – sono un po’ stupito in realtà, perché Cesare è un amico d’infanzia di quelli che però ormai non frequento più da qualche decennio – e dove vogliamo vederci? - Al teatro Olimpico, ti faccio accreditare all’ingresso. Ti vedi lo spettacolo di Max Giusti, io lavoro: sono il gobbo.

Cesare mi ha sempre abituato alle stranezze, per cui non replico. Mi accerto solo che continui a fare pure il suo mestiere storico, che è l’assicuratore, visto che la polizza ce l’ho da lui e questo suo eclettismo un po’ mi ha sempre preoccupato. Continua, mi dice. Gli faccio pure osservare che come facciamo a vederci e parlare, se lui sta dietro le quinte a proiettare battute sul computer di scena (ormai anche il gobbo è elettronico) e io invece me ne sto seduto in platea a guardare Max Giusti, ma lui dice che va bene così, chiacchieriamo prima o dopo. Ci sarebbe pure da dire che Max Giusti non è esattamente il genere che prediligo, ma mi pare poco simpatico ripagare così un gesto carino, e quindi sto zitto e abbozzo. Del resto, mi ricrederò.

Lo spettacolo me lo sono visto in compagnia di sua madre, che si era portato dietro a mia insaputa, ed è stata una bella sorpresa, perché la Sandra quando eravamo piccoli era un po’ mamma anche mia, e lo stesso per lui la mia, di mamma. Lei si è divertita moltissimo, io a metà spettacolo ero indeciso se fingere un malore o soprassedere perché tanto mi sarei sentito male davvero.

Fino a quel momento (e parlo di un’ora e più di monologo ininterrotto) solo italianità italiota: - Aho’ – rivolto a uno del pubblico, molto giovane, che si coccolava la findanzata – vedrai che prima o poi te sposi, e allora so’ cazzi! – e giù mezz’ora di tragica descrizione delle vicende tipiche del matrimonio italiota, tra camicie stirate male e baruffe tra suocera e nuora, fino al divorzio costosissimo e ai tristi tentativi di rimorchio in discoteca del neosingle, ormai quarantacinquenne e spompatissimo. E poi lazzi continui a una poveraccia che aveva il solo torto di essere molisana, messa in mezzo oltre ogni decenza. Insomma, ho guardato più l’orologio che il palcoscenico, per almeno un’ora e mezza (senza intervallo: il tizio è davvero una macchina da guerra).

Ma poi, improvvisamente, il miracolo: lo spettacolo vira decisamente sul politico, o almeno sul sociale, e qui si scopre che Max la pensa praticamente come me su quasi tutto. Dalla vicenda di Eluana Englaro al caso Alitalia, al Berlusca e agli extracomunitari, perfetta identità di vedute: non credo alle mie orecchie, e anzi mi becco pure una bella lezione. Sì, perché è vero che il pubblico in sala si era divertito molto di più (si capiva) alle battutacce dei primi due terzi di spettacolo, ma è anche vero che ora è costretto ad ascoltare cose da cui normalmente rifugge; e, quello che è meglio ancora, le può ascoltare nel suo linguaggio, modulate sui suoi toni; Max è del Trullo, e del Trullo è rimasto. Chi conosce Roma sa di cosa sto parlando. Per farla breve: parlando di Eluana e Beppino Englaro la sua indignazione era sincera, ma la parola laicità non l’ha pronunciata neppure una volta; ha alzato i toni descrivendo un padre che soffre, e una ragazza spenta che mai avrebbe voluto essere costretta in quelle condizioni, ma i massimi sistemi li ha lasciati fuori dalla porta. Su Alitalia si è superato, in una gag divertentissima: - I francesi c’hanno sempre fregato, a comincià da la Gioconda. Pe’ ‘na vorta che stavano a ‘mboccà co’ tutte le scarpe (se la comprano, zitto che se la comprano…) arriva quello e se ne esce ‘in nome del supremo interesse nazionale… l’italianità….’. E niente tirate sul conflitto di interessi, mai nominato: però un esempio che più concreto non si può l’ha fatto, e la conclusione è stata impeccabile – ma com’è che co’ li sordi sua l’affari li fa in un modo e co’ i nostri in un antro modo?

Su Gesù Cristo è stato insuperabile – ma se nascesse oggi lo riconoscereste? In pratica lui era 1) figlio di una coppia di fatto, 2) clandestino in Galilea, 3) nato da fecondazione assistita e 4) in una capanna abusiva. ‘Nsomma, se ritornasse oggi nascerebbe da du’ rumeni accampati sotto ponte Garibaldi o dentro a un campo Rom. Secondo me se lo vedete lo mannate affanculo… E questo è stato davvero uno schiaffone a parecchia di quella gente che stava lì seduta ad applaudirlo.
Morale: fossi stato io su quel palco a dover parlare di certe cose, sarei stato preso a pomodorate da un pubblico pecoreccio e probabilmente berlusconiano anzichenò, che mi avrebbe disprezzato in quanto pseudointellettualoide non in grado di parlare “pane al pane e vino al vino”. E questo infatti è ciò che succede non a me, che sul palco non ci vado, ma a tutti i rappresentanti della sinistra.

Max Giusti, che parla un altro linguaggio ed è del Trullo, li ha costretti a riflettere. Certo, rispetto a quello che di solito diciamo noi – come definirci? Acculturati? – si è perso molto, a cominciare dalla complessità del mondo in cui viviamo. Però lui l’hanno capito, mentre io ormai non mi capisce più manco da solo.

Ecco, la nostra ormai estinta sinistra perché non ricomincia da un linguaggio così? Ovviamente parlato da qualcuno che non sia né Veltroni, né D’Alema, né i soliti noti, che non sarebbero credibili. Lo so che molti inorridiscono al solo pensiero, e un po’ agita anche me, questa idea che sto descrivendo; però, se noi siamo arrivati in vetta a un monte e gli altri stanno ancora a valle, non è che magari starebbe a noi aspettarli e non star lì a urlargli continuamente di salire su? Quelli, dati i gusti, è un pezzo che si sono fermati a valle a magiare la polenta con le salsicce, qualcuno insieme a Max Giusti, ma i più con Berlusconi, che gli serve ettolitri di vinaccio.

Un linguaggio come quello, e leader capaci di parlarlo, sarebbero moltissimo per una sinistra ormai del tutto incapace di comunicare. Il resto si può fare lo stesso senza stare a strombazzarlo (laicità dello stato, welfare, eccetera); e magari tra qualche anno, in un’Italia de-berlusconizzata, si potrebbe anche provare a riparlarne in modo esplicito, di temi alti: chissà che non sia la volta che finalmente li sdoganiamo. Ma questo, mi rendo conto, è solo un sogno. Mamma mia come siamo ridotti, se ormai il sogno di uno di sinistra è un leader che parli come Max Giusti… Che però, ci tengo a dirlo, alla fine un bel sette in pagella se lo è strameritato: un’ora e mezza penosa, ma gli ultimi tre quarti d’ora sono stati davvero una rivelazione.

martedì 3 marzo 2009

Terza lezione di economia

Questa, però, la affidiamo a un economista vero. Ve la propino perché un po' di vanità non guasta mai, e avendo trovato uno serio che scrive quello che anch'io, più rozzamente, avevo provato a scrivere, ne approfitto per gonfiare le penne della coda e dire "ecco, vedete? Avevo ragione!". Non che sia granché consolante, ma accontentiamoci...
Per l'originale, e per altri articoli spesso anche poco condivisibili, ma sempre interessanti:
Lavoce.info.

LE TASSE E QUEL REDDITO SEMPRE PIU' DISEGUALE

di Valentino Larcinese
La Cgil ha proposto un'imposta di solidarietà: un aumento di aliquota dal 43 al 48 per cento sui redditi superiori ai 150mila euro. L'extra-gettito servirebbe a finanziare interventi in favore di disoccupati e precari. Misure simili sono già state adottate nel Regno Unito e Stati Uniti. Tuttavia, nel nostro paese non è probabilmente la risposta più appropriata alla crescita delle disuguaglianze perché toccherebbe di fatto solo il lavoro dipendente, senza incidere sull'evasione fiscale. Ma è ora che il problema della distribuzione del reddito torni in primo piano.

Alcuni giorni fa la Cgil ha proposto l’introduzione di quella che è stata definita una imposta di solidarietà: un aumento dell’aliquota dal 43 al 48 per cento sui redditi superiori ai 150mila euro. Si tratta di una proposta in linea con quanto avviene in altri paesi.
Negli Stati Uniti, come promesso da Barack Obama in campagna elettorale, il President’s Budget presentato il 26 febbraio prevede sgravi per i redditi bassi e medi e varie misure volte ad accrescere il carico fiscale di quelli alti: un aumento delle aliquote sugli ultimi due scaglioni di reddito (rispettivamente dal 33 al 36 per cento e dal 35 al 39,6 per cento) e un aumento dell’aliquota massima su dividendi e capital gain dal 15 al 20 per cento. Nel Regno Unito è stata introdotta un’aliquota d’imposta del 45 per cento (dal precedente 40 per cento) per i redditi superiori a 150mila sterline. A questo si aggiunge un dimezzamento della “personal allowance”, l’ammontare su cui non si paga imposta, per i redditi superiori a 100mila sterline e la sua totale eliminazione per redditi superiori a 140mila sterline. In Germania, il partito socialdemocratico ha proposto un aumento dell’aliquota dal 45 al 47,5 per cento per i redditi di persone singole superiori ai 125mila euro e su quelli di coppie con reddito complessivo superiore a 250mila euro.

FACCIAMO DUE CONTI

I dati relativi alle dichiarazioni dei redditi per l’anno 2005, gli ultimi disponibili, ci dicono che i contribuenti italiani con reddito superiore a 150mila euro erano a quella data circa 115mila, con un reddito medio di circa 280mila euro. Rappresentavano lo 0,28 per cento della popolazione dei contribuenti. Un’aliquota al 48 per cento dovrebbe generare un extra-gettito complessivo di circa 750 milioni di euro l’anno. L’ammontare potrebbe in realtà essere più alto considerando che dal 2005 il numero di contribuenti con reddito superiore ai 150mila euro, nonché i loro redditi, saranno verosimilmente aumentati. Nello stesso tempo si ignorano qui completamente eventuali effetti delle aliquote sui redditi pre-tax. Nel complesso, l’ordine di grandezza del potenziale extra-gettito, più basso di quanto stimato dalla Cgil, è leggermente inferiore ma complessivamente simile a quello stimato dai socialdemocratici tedeschi per la loro proposta (un miliardo di euro) o dal governo britannico per la sua riforma (un miliardo e duecento milioni di sterline). Il sacrificio aggiuntivo medio richiesto ai contribuenti con reddito superiore a 150mila euro sarebbe di circa 6.500 euro l’anno. Il sacrificio è ovviamente crescente nel reddito: un individuo con un reddito di 160mila euro, ad esempio, verrebbe a pagare 500 euro in più all’anno, con un reddito di 200mila euro si pagherebbero 2.500 euro in più e così via.

I PRO E I CONTRO

Ci sono diverse ragioni che nell’attuale face recessiva si possono addurre a supporto di un aumento delle aliquote marginali sui redditi alti e, più in generale, in favore di un aumento del grado di progressività delle imposte. La prima e più importante è che, a causa del nostro elevato debito pubblico, l’Italia dovrà, più di altri paesi, affrontare la crisi cercando di puntare il più possibile su manovre fiscali che siano con “bilancio in pareggio”, ossia che incidano poco sui conti pubblici. Fra queste andrebbe annoverato anche l’aumento della progressività. A parità di gettito, sposta risorse da individui a reddito elevato verso individui a reddito più basso. Questo significa che le risorse vengono spostate verso i cittadini con una più alta propensione al consumo. Una maggiore progressività impositiva provoca pertanto uno stimolo dal lato della domanda aggregata. Analogo, e anche più incisivo in un contesto di crescente disoccupazione, è l’effetto che si può ottenere spostando risorse dai redditi molto alti verso i disoccupati che non hanno accesso agli ammortizzatori sociali. Ad esempio i 750 milioni all’anno dell’imposta di solidarietà sarebbero sufficienti a pagare un sussidio mensile di 500 euro per 125mila disoccupati.
La tipica controindicazione ad aliquote marginali elevate è invece che possono introdurre distorsioni, disincentivando offerta di lavoro e investimenti. Se sul piano teorico non va sottovalutata, è anche vero che l’evidenza empirica sull’entità delle distorsioni resta ambigua. (1) Sicuramente siamo oggi lontani dalle aliquote punitive degli anni Settanta e dunque il problema delle distorsioni è nel complesso meno urgente, particolarmente nell’attuale emergenza recessiva in cui incentivare l’offerta appare secondario rispetto a stimolare la domanda (si pensi, ad esempio, all’inutilità della detassazione degli straordinari).

Ci si potrebbe anche spingere fino ad affermare che la progressività danneggia esattamente le fasce di reddito più basse. In altri termini, la creazione di reddito da parte degli individui più produttivi, che risulterebbe più alta se non ostacolata da meccanismi redistributivi, dovrebbe innestare un processo di trickle-down, con ricadute positive su tutta la popolazione. Se così fosse, un aumento della progressività non servirebbe affatto da stimolo alla domanda aggregata. Pur senza la pretesa di stabilire rapporti di causalità, è tuttavia difficile riconciliare quello che è successo nel recente passato con l’ipotesi del trickle-down. Dagli anni Ottanta a oggi sia la povertà che le disuguaglianze di reddito sono aumentate in maniera considerevole in tutti i paesi sviluppati: la media dell’indice di disuguaglianza di Gini dei redditi disponibili nei paesi Ocse è aumentata di quasi il 10 per cento, mentre la percentuale di poveri, ovvero con reddito inferiore a metà del reddito mediano, è cresciuta dal 9,3 al 10,6 per cento della popolazione. Tutto ciò mentre la quota di reddito dell’1 per cento più ricco della popolazione è tornata ai livelli di settanta anni fa sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito. (2) Non è un caso se gli sforzi recenti di molti studiosi si sono concentrati esattamente sull’evoluzione dei redditi top, ossia sull’1 per cento più ricco della popolazione, dove si è accumulata la maggior parte della recente crescita dei redditi. (3) E nessuna meraviglia se il partito democratico negli Usa e il partito laburista nel Regno Unito sono tornati a porre l’accento sulla necessità di politiche di redistribuzione del reddito più incisive. (4)
Tornando a casa nostra, è bene notare che l’Italia ha un livello di disuguaglianza dei redditi fra i più elevati tra i paesi sviluppati, ha un livello di povertà ben superiore alla media dei paesi Ocse ed è uno dei paesi in cui la disuguaglianza è cresciuta maggiormente negli ultimi venti anni.
Quanto detto fin qui non implica affatto che l’imposta di solidarietà sia la risposta più appropriata alla crescita delle disuguaglianze nel nostro paese: la proposta della Cgil toccherebbe di fatto solo chi le tasse le paga, ossia prevalentemente il lavoro dipendente, per quanto ben remunerato. In realtà è sempre più chiaro che la possibilità di attuare politiche redistributive più incisive passa inevitabilmente dal crocevia della lotta all’evasione, su cui invece siamo in piena retromarcia. Ècomunque del tutto naturale nel contesto attuale e in linea con quanto succede nei maggiori paesi avanzati, che il problema della distribuzione del reddito torni a occupare un posto di rilievo nel dibattito di politica economica.


(1)Si veda al riguardo il libro di Peter Lindert “Growing Public”, Cambridge University Press, 2004.
(2) Questi dati sono tratti dal recente rapporto dell’Ocse“Growing Unequal?”.
(3) Si veda ad esempio il libro di Anthony Atkinson e Thomas Piketty Top Incomes over the 20th century, Oxford University Press, 2007.

(4)Si veda per pura curiosità la figura 9 del President’s Budget presentato dall’amministrazione Obama il 26 febbraio.