martedì 29 settembre 2009

Lost in woods

Ma insomma, non interessa a nessuno sapere come è andata a finire l’avventurosa corsa del Gattopuzzo nei boschi di Sua Maestà Elizabeth?
E io ve lo dico lo stesso. Con una notizia buona, almeno per me, che già avrete intuito: scrivo, ergo sum (vivo)! E non sto nemmeno granché acciaccato… Ah, le infinite risorse della stirpe dei gattopuzzi, ormai ridotti ad un solo esemplare eccetera eccetera. Del resto, com’è che recita la presentazione del GPZ in questo blog? "[…] Il Gattopuzzo è un animale un po' puzzola e un po' faina, una creatura dei boschi che si è urbanizzata. Uno spirito vagabondo […]. Sa mimetizzarsi molto bene nell'ambiente urbano, ma in fondo all'anima rimane uno spirito selvatico".
E allora c’era da aspettarselo, che nella selva lo spirito silvestre che muove il Gattopuzzo lo avrebbe preservato e conservato.
Lo stesso non vale per Mustafà, che in realtà si chiama Feisal e non è libanese ma arabo di Ryad.
Mustafà-Feisal, che è alto e in evidente soprappeso, fuma un pacchetto abbondante di sigarette al giorno, beve come un cammello e tutte le mattine si presentava al corso con non meno di due ore di ritardo, gli occhi rossi, la barba lunga e l’aspetto molto stropicciato. Cosa facesse la notte, in quel posto desolato e remoto, per me è un mistero. Io in realtà non avevo fatto molto caso a queste sue abitudini, diciamo così, un po’ in contrasto con l’immagine dell’atleta che pretendeva di essere. Però le abitudini sono subito saltate fuori a presentargli il conto, perché non abbiamo fatto in tempo ad imboccare la via del bosco che ho cominciato a sentire, alle mie spalle, un ansimare come di mantice sfiatato. Io andavo piano per due motivi, il primo essendo che la finlandese è spirito caritatevole e, avendo capito con chi aveva a che fare, aveva rinunciato all’allenamento veloce, e il secondo che io, veloce, proprio non sarei stato capace di andare. Andavo piano, sì, ma Feisal sembrava lo stesso che stesse faticando a trattenere l’anima tra i denti. Uno si immagina un orgoglioso osservante fedele musulmano mondo dalle zozzerie che ti minano il fisico, così come prescrive Mohamed (sempre sia gloria al nome suo), e invece questo qui era tutto intossicato e grigio in faccia e pure quando sudava dava l’idea di star secernendo qualcosa di malsano. Fatto un mezzo chilometro, la più che caritatevole Mareit decide per una sosta, con la scusa di dover decidere che direzione prendere. Con il senso dell’orientamento che contraddistingue la razza dei Gattopuzzi (ormai limitati nella speciazione ad un solo esemplare eccetera), io sentenzio che it’s late, and if we don’t want to stay too long in the woods we should go left, because that path is clearly a small ring that will lead us back to the hotel. Ottenuto il consenso generale, prendiamo quindi a sinistra ormai camminando, la maratona boschiva trasformata in passeggiata da casa di riposo per non ammazzare anzitempo il probo suddito di re Fahd. L’orgoglio dell’Islam continuava però a dare segni di imminente soffocamento, per cui, non volendo dannarci in eterno provocando la prematura ascesa in cielo di un probabile futuro santo imam, procedevamo con andatura da ottuagenari, fingendo di essere incantati e rapiti dalla bellezza dei paesaggi per non metterlo troppo a disagio. E i paesaggi belli lo erano davvero: castagni, querce , faggi, tutti i colori dell’autunno, le sfumature dal giallo al rosso acceso, un silenzio cosmico interrotto solo da cinguetti e fruscii di foglie smosse nel sottobosco da una quantità stupefacente di leprotti che si aggiravano indisturbati in quel paradiso silvestre. E ogni tanto qualche casetta qua e una là che non solo non davano nessun fastidio, ma parevano quelle degli hobbit e avevi l’impressione che se bussavi si sarebbe affacciato Bilbo Baggins ad offrirti una fetta smisurata di torta di mele.

E invece non c’era anima viva, dal che si arguiva che ad abitare quelle dimore dovevano essere gli sfuggenti elfi, che senza dubbio ci stavano osservando nascosti sotto il nostro naso eppure invisibili alla gente grossolana come noi (la gente grossa, ci chiamano loro). Perso nelle fantasticherie, ogni tanto il fischio allarmante che scaturiva dai polmoni di Feisal mi riportava alla realtà, non essendoci nell’epopea del Signore degli Anelli alcun treno a cui attribuire un siffatto suono, così da poterlo inglobare nella mia fantasia. Oddio, volendo ci sarebbero stati i draghi, ma quelli mi avrebbero rovinato la pace interiore che lo spettacolo della natura mi ispirava, e avevo deciso di far finta che non esistessero (far finta… esistessero… anche il mio stato mentale non doveva essere proprio del tutto alieno da alterazioni).
Fantastica che ti fantastica, seguivamo quasi in silenzio questo public footpath le cui indicazioni erano un intrico di frecce che puntavano pressoché ovunque: a destra, a sinistra, a destra e sinistra insieme e una perfino verso l’alto, prova evidente che il footpath era stato in effetti pensato per essere percorso anche a dorso di drago. Specie della quale due cuccioli (ma forse erano orchetti) in forma di molossi si sono festosamente parati davanti ai nostri occhi quando, non si quando non si sa come, ci siamo ritrovati a calcare la morbida erbetta del giardino di una villa, deserta pure quella.
Segue la scena della nostra precipitosa e velocissima retromarcia, con momentanea incuria delle condizioni di salute del sublime principe del regno di Saud. Di nuovo ci ritroviamo nel bosco, e di nuovo attraversiamo il borghetto degli hobbit, altro non sapendo fare se non tornare indietro. Il buio avanza e si sa, in quelle lande la notte uno può incontrare le Mortombre e chissà quali altre creature demoniache, per cui non è prudente (e soprattutto è scomodo) decidere di passare la notte nei boschi, al freddo, a digiuno e senza materasso quando un paio di chilometri più in là – solo a sapere dove, porca putt… - c’è l’albergo che ti serve la pappa, il sidro e ti fa dormire sotto le calde coperte dopo una corroborante doccia. Alla fine Mareit ha l’illuminazione, e decide di bussare alla porta di una delle casette. Al che, non so perché, la scena mi è cambiata e al posto del Signore degli Anelli mi sono ritrovato nel mondo di Hansel e Gretel, improvvisamente certo che quella casetta fosse di marzapane e ne sarebbe uscita una vecchina che era in realtà una perfida strega che si era già mangiata tutti i vicini di casa, il che spiegherebbe perché lì intorno c’erano tante case, ma non anima viva.
E invece, dopo una lunga attesa, ne è uscito un signore inglese, ma di un inglese che voi non avete idea. Non sto nemmeno a descriverlo: pensate a un inglese, non uno qualsiasi ma l’ur – inglese, l’archetipo, l’idea platonica di inglese, e quello era lui. Che, molto, gentilmente, ci ha fatto presente che: 1) avevamo scelto il sentiero sbagliato, perché se volevamo tornare in albergo dovevamo prendere a destra, non a sinistra, e 2) avevamo fatto talmente tanta strada in quel bosco che a tornare indietro ci avremmo messo non meno di una mezz’ora abbondante, col buio che avanzava.
E così è stato: uscimmo a riveder le stelle, per dirla con il Poeta, quando le stelle in cielo c’erano quasi per davvero, dopo due ore di vagabondaggio silvestre, con il povero Feisal ormai incapace perfino di lamentarsi e talmente grigio in faccia da essergli passata pure la voglia di fumare.
La sera, al bar, dopo una cena abbondante, l’ho trovato con in mano una bottiglia di sidro e - ovviamente! - una sigaretta in bocca, felice come uno scampato da Pearl Harbour, e quando gli ho fatto - Feisal, if we want to go again tomorrow, it may be better if you smoke less - lui mi fa - No, no… the problem, today, was that I am a little tired… you know, the jet lag…
Ma un buon musulmano, oltre che dal bere e dal fumare, non dovrebbe astenersi anche dalle cazzate?

martedì 22 settembre 2009

Il talento del Gattopuzzo

Era passato un po' di tempo dall'ultima volta che il Gatopuzzo aveva varcato le patrie frontiere, per cui capirete che non senza trepidazione ho intrapreso questa nuova trasferta in terra di Albione.
Tre anni fa il bilancio fu insuperabile, tra gag piu' o meno (in)volontarie e duelli rusticani all'ultimo bicchiere di cabernet col professore di finanza; anche l'anno scorso non ando' male, con la corsa dei kart (adegutamente documentata qui) e dieci giorni di uscite a teatro e cene di gala, con la corsa delle scimmie a fare da gran finale. Stavolta l'uscita si e' presentata subito in tono minore: invece che a Londra, mi hanno spedito in questa amena campagna inglese tanto poetica, piena solo di silenzi e di fruscii di fronde, di cinguettii e di squittii, di boschi folti che a inoltrarsi un po' uno pensa di poter incontrare Gandalf e con lui tutta la Compagnia dell'Anello. Insomma, Wotton House: una specie di carcere soft dove, finite le ore di lezione, uno davvero rischia il suicidio per noia. Figuratevi che per la disperazione oggi pomeriggio mi sono messo le scarpe da ginnastica e, contravvenendo alla regola aurea a cui ho consacrato quarantaquattro anni di orgogliosa sedentarieta', sono andato a correre tra sentieri, prati e boschi.
E qui ho avuto la prova che la classe, davvero, non e' acqua, e il talento del Gattopuzzo per i guai puo' al massimo appennicarsi, ma eclissarsi giammai.
Uscendo dalla corte della dimora che potete ammirare in foto
e che ci ospita, intravedo la signora finlandese che segue il corso insieme a me in tenuta analoga alla mia ma piu' figa, e da tutt'altra parte indirizzata: alzo il braccio in segno di saluto e la abbandono ai sentieri suoi. Avevo gia' avuto modo di incontrarla ieri sera, sempre bardata per il cimento podistico, mentre io meno pretenziosamente passeggiavo per prati e boschi e rientravo precipitosamente all'apparire minaccioso e ululante di un pastore tedesco e altri due orchi (di razza non identificata per eccesso di velocita' di fuga). Avevo avuto modo di ammirare l'incedere fiacco della madama, nonche' la brevita' della performance, che mi aveva fatto gonogolare al pensiero di non essere l'unico a pretendere di chiamare jogging quel penoso trascinarsi in giro in mutandoni.
Schivati i cani, a cena me la ritrovo accanto.
- Hi Maurizio, I saw you going out for jogging, before dinner...
- Oh, yes... I had a very pleasant trip between fieds and woods, it was wonderful (se e' detto bene non lo so, ma questo e' l'inglese che parlo io e questo le ho detto. E comunque lei ha capito).
- I ran in the courtyard, instead... I had fear to go alone in the woods... But it was so boring running in a ring...
E qui che poteva combinare il Gattopuzzo? Per generosita', certo... E un po' per vanagloria, ma diciamole queste cose: - Oh, Maria, don't worry... If you want, tomorrow we can go together!
- Really? You are very kind! At six o'clock?
- At six o'clock.
- I am very happy about this, you know, I have to respect my training program, otherwise I will not be allowed to run my next Marathon....
Gelo per la schiena: - Marathon?
- Oh, yes, next month, in Helsinki, I will run with my team, We do it every year!
- (tra me e me) ma porca puttana, va bene che me la sono andata a cercare, ma proprio una maratoneta mi doveva capitare? A me, che se corro mezz'ora di fila gia' grido al miracolo... But... Maria, yersterday I saw you running very, very slow...
- Yes, it is a part of my training program, but don't worry, tomorrow I will start the new part, in which I have to run very very fast!
- (Ah, allora... )
E mentre sacramentavo in sanscrito, ecco che si aggiunge il libanese, li', come minchia si chiama, vabbe', facciamo Mustafa': - wonderful! I am used to run every day! May I come with you?
E all'unisono, ma con espressioni opposte (uno afflitto, l'altra esultante), io e Maria: - of course, Mustafa', of course!... (il punto esclamativo e' della finlandese, i puntini sono miei).
E adesso eccomi qui, come Galois la notte prima del duello, a scrivere febbrilmente affinche' resti di me quello che ho fatto, quello che ho pensato... E chissa' perche' a me non viene fuori una emerita ceppa, mentre quello li' scrisse un trattato di matematica superiore in una notte, prima di accomiatarsi da questa valle di lacrime per opera di un marito geloso, o forse dei servizi segreti, insomma almeno in modo romantico, cosa che non tocchera' a me, precocemente stroncato da due podisti forsennati in mezzo ai boschi inglesi, lontano da casa, dalla mia cucciolotta con tutti gli annessi e connessi... Ma non vi fa un po' pena il Gattopuzzo? E pero', se contro ogni pronostico avessi a sopravvivere, me lo fate il favore di rintuzzarmi, da oggi in poi, ogni volta che faccio pipi' fuori dal vasino?

martedì 15 settembre 2009

Chi va a casa di chi

Questo avvenimento dice tutto sulla carità pelosa di quanti hanno voluto dare alla guerra in Iraq la patina nobile dell’abbattimento del tiranno. La gratitudine di quel popolo per il nostro intervento non richiesto si può misurare dai festeggiamenti che riservano a uno che il nostro commander in chief lo prese a scarpate.
Si è trattato di una guerra di invasione che ha fatto centinaia di migliaia di morti iracheni (quanti, precisamente, non lo sapremo mai), ha reso quel paese un campo di battaglia tra opposte fazioni estremiste, ha prodotto tortura e dolore, ha distrutto i reperti della civiltà più antica di cui si abbia memoria storica e ci ha attirato addosso l’odio furibondo di qualche miliardo di esseri umani che hanno idee parecchio diverse dalle nostre su come (loro) dovrebbero condurre le proprie vite e i propri affari di governo, e non gradiscono che si sia noi a pretendere non solo di dirgli cosa è bene, ma addirittura di imporglielo.
Questo odio ha permesso a personaggi sinistri e macabri di affermarsi un po’ ovunque nel mondo islamico, per lo stesso meccanismo che ha portato qui da noi alle vittorie elettorali di Bush: se l’Altro (loro per noi, noi per loro) è cattivo, allora dobbiamo farci guidare da uno più cattivo di lui. Eventualmente dando un’aggiustatina ai risultati elettorali, se non sono proprio favorevoli. Ahmadinejad? E perché, Bush che fece con Gore? Solo che il primo è un tiranno, del secondo dire questo pare non sia lecito. Mah.
Adesso che la balla dell’esportazione della democrazia non è più spendibile, dato che l’unica cosa che abbiamo esportato è stata la vergogna delle torture e un numero di morti ammazzati infinitamente superiore anche agli stupefacenti record di Saddam; adesso che nessuno può più permettersi di raccontare cazzate su cosa siamo veramente andati a fare laggiù - tutti e non solo gli americani, perché Nassirya non è solo il posto del martirio di quei poverini che ci hanno lasciato le penne, è soprattutto il suolo sotto cui stanno gli idrocarburi acquistati dall’ENI; adesso che delle famose (ma soprattutto fumose) armi di distruzione di massa non è stato trovato nemmeno un flacone di virus del raffreddore; adesso che tutto questo è acquisito, lo sappiamo, è alle spalle, non resta più nessuna scusa a chi si ostina a difendere questa follia. Mi disturba parecchio vedere che in realtà questa gente non ne ha nessun bisogno: candidi, ammettono che sì, probabilmente andare laggiù è stato un errore, ma mica perché era sbagliato in linea di principio; no, anzi, l’idea era giusta ma il problema sono loro, gli iracheni e gli arabi in generale, animali ottusi e riottosi come muli recalcitranti che non hanno saputo apprezzare nulla delle meraviglie che gli avevamo graziosamente recato in dono. Perle ai porci, questa gente meglio lasciarla a casa sua e farli scannare tra loro, e anzi chiudiamoci pure noi dentro casa nostra e se provano ad avvicinarsi lasciamoli affondare in mare, o diamoli in pasto a Gheddafi, che è come loro e sa come trattarli. Salvo però andarci, noi da loro, a prenderci il petrolio. Con quattro soldi quando va bene, con la forza quando conviene.

martedì 8 settembre 2009

Leggere fino in fondo? Se proprio devo...

Vi ho già elargito due post, ma non vi ho ancora detto che il lungo silenzio era dovuto alle ferie... Vabbè, non ci voleva la palla di cristallo per capirlo. Ferie, stravaccamento, e quindi goduriose, goduriosissime letture... Beh, quasi. Prendiamo questo romanzo di Gibson e Sterling, per esempio, che segna il ritorno al mio primo amore, la fantascienza (anche se questo, in realtà, fantascienza non è).More about La macchina della realtà
Erano... meglio che non lo dico quanti anni erano che lo volevo leggere, sennò mi prende la vertigine da vecchiaia. Era tanto, e tanta è stata la delusione. Già il titolo italiano è un crimine contro l'umanità (la macchina a cui si fa riferimento è the difference engine, il motore differenziale, e questo è il titolo dell'originale).
L'idea che regge l'intreccio è intrigante, ma questi due forse avrebbero fatto meglio a scrivere un trattatello di filosofia della storia, che se pure viene noioso si può sempre dire che dato il tema era inevitabile. E qual è questo tema? E' presto detto: la storia non è una successione ordinata di eventi che si compongono in modo necessario, nessuno dei quali potrebbe scambiarsi con quelli che lo precedono o lo seguono, pena il crollo di tutta l'impalcatura; no, la storia è un fiume turbolento, che scorre sì in un certo verso, ma è pieno di gorghi in cui gli accadimenti collassano e possono generare corsi alternativi. Il computer avrebbe potuto essere costruito nel diciottesimo secolo, Byron avrebbe potuto fare il primo ministro invece che il letterato, Marx trovare fortuna in America istituendo una comune a Manhattan e Gautier essere una specie di hacker a Parigi. Non è implausibile: Babbage aveva davvero progettato una macchina che non potè essere costruita, ma che, realizzata in via sperimentale negli anni ottanta del novecento, si rivelò essere un computer funzionante. E quanto a Byron, a Marx, Gautier e compagnia, sbagliano quelli che cercano di rintracciare nel romanzo un filo conduttore che ne spieghi la sorte: è la turbolenza, la casualità selvaggia della storia a spiegarne la posizione e le azioni, nient'altro. Per noi sono stati quello che sono stati, ma in modo altrettanto plausibile avrebbero potuto essere altro, e la stessa storia accaduta essere un'altra. Insomma, non sono propriamente dei marxisti gli autori, e nel caso uno non capisca le loro tendenze si danno molto da fare per dipingere Marx e seguaci come un branco di scimmie prive di qualsiasi barlume di intelligenza e di umanità. E passi pure questa caricatura, ma se almeno il tutto fosse ben scritto... Invece è faticoso, farraginoso, pesante al punto che penso non si siano potuti divertire nemmeno loro, a scriverlo. Uno di quei libri che, anziché farti palpitare per sapere come va a finire, ti tiene avvinto alla pagina per senso del dovere: capisci che c'è qualcosa che vale e ti imponi di finirlo, ma in fondo ne faresti volentieri a meno.

lunedì 7 settembre 2009

Sindrome cinese



In Cina volevano chiudere internet prima delle Olimpiadi e anche adesso provano a mettere il guinzaglio ai navigatori. Con qualche successo, se è vero che tempo fa pure Yahoo alla fine cedette e fornì alle ruvide autorità cinesi nomi e cognomi di blogger e altri pericolosi controrivoluzionari, che pagarono molto cara la licenza di critica al regime che si erano autoattribuiti. Anche Ahmadinejad non scherza, con risultati però meno spettacolari: le immagini della repressione post truffa elettorale degli Ayatollah hanno fatto il giro del mondo, evidentemente i mullah non sono smanati come i capitalisti di stato mandarini, a imbrigliare le rotte dei naviganti telematici. Di quello che combina Gheddafi non so i particolari, ma viste le affinità esibite e riesibite con il nostro nano alfa – a cui ormai è rimasto solo il libico a cui dare pacche sulle spalle – immagino che non disdegni neppure lui l’arma sempre seducente della censura.
Il Berlusca sta compiendo la sua parabola: ha iniziato riversandoci addosso un fiume di parole che ha rincoglionito l’ottanta percento degli italiani, poi è passato alle urla per impedire che si sentisse anche la voce degli altri e adesso, finalmente, arriva alla pratica che più di tutte rivela il suo concetto del mondo: il manganello. Finora mediatico, almeno per quanto ne so io, ma non mi stupirei se si venisse a sapere che qualcuno ha assaggiato anche quello vero, e non per semplice esagerazione di qualche sodale troppo zelante.
Come i capitalisti di stato cinesi, Silvio nostro ha potere assoluto su tutti gli affari che si trattano e si concludono in questo paese: che si tratti di televisioni o di assicurazioni, di banche o di palazzine, lo zampino suo possiamo star sicuri che lo troviamo sempre ben intinto nel sugo. Una volta disse che il conflitto di interessi non esisteva, perché lui sarebbe uscito dall’aula ogni volta che si fosse votato su temi che lo riguardavano. L’avesse fatto davvero, farlo presidente del consiglio si sarebbe rivelata l’arma migliore per togliercelo dalle scatole: non avrebbe potuto decidere nemmeno quali merendine mettere nel cestino dei bambini. Purtroppo non l’ha fatto, mica è scemo. E, sempre in omaggio alla tradizione mandarina, adesso si è messo a menare legnate contro quel minimo di stampa semilibera che abbiamo ancora in questo paese. Denuncia gente che gli fa delle domande, ne vuole portare in tribunale altra per fargli rimangiare di aver detto che non gli si rizza, quando il primo a dirlo fu Bossi - “Silvio ha la sua età…” - seguito a ruota proprio da Feltri – “dopo l’operazione che ha subito… basterebbe che esibisse il certificato medico…”.
Rispetto all’universo totalitario cinese tutto questo manca di Pathos, sa più di commedia all’italiana che di dittatura, ma conviene non fare troppo affidamento su queste considerazioni: se gli riesce di fare in modo che i quotidiani (e soprattutto i TG) italiani non possano più riportare i titoli di quelli stranieri da lui ritenuti offensivi, l’isolamento del paese è bello che compiuto. Che io o voi siamo capaci di navigare in rete e di leggere le notizie in inglese dove ci pare, a lui non gliene frega quasi niente: quanti siamo noi? In Italia a saper usare un PC è ancora una minoranza di persone drammaticamente esigua, mai ingigantita da quelle “tre i” (inglese, internet, impresa) che rappresentarono, a suo tempo, il suo slogan ultratruffaldino. E in questa minoranza sono ancora meno quelli che masticano uno straccio di lingua, che d’altra parte ai più non servirebbe, perché i giochi in rete e i siti porno si trovano abbondantemente anche in italiano.
La strategia cinese, pure all’amatriciana come la sanno cucinare lui e l’impareggiabile Ghedini, in un paese di semianalfabeti del tutto disinteressati alla tutela dei propri spazi informativi può riuscire ancora meglio che in Cina. Poi, a quel punto, sarebbe inevitabile per il nostro cercare di chiudere la bocca anche alle pulci come me e come voi: spingersi sempre un pochino più in là, non accontentarsi mai, è nella natura del soggetto, e non ci si può illudere che non ci proverebbe. Probabilmente con effetti tragicomici, ma volete scommettere che, magari anche solo per educarne cento al prezzo di una vittima sola, riuscirebbe comunque a far male a qualcuno?

venerdì 4 settembre 2009

Ho perso le parole


Da bambino ero un asso con la penna, o almeno così mi hanno fatto sempre credere i miei insegnanti. Il daimon comunque non ce l’avevo, altrimenti adesso starei scrivendo altro che questi velleitari post destinati più che altro all’onanismo telematico. Com’è come non è, però, le parole le sapevo trovare, e mettevo giù tanti bei temini che invariabilmente mi guadagnavano l’agognato riconoscimento di “bambino molto maturo rispetto alla sua età”. Che, a ripensarci oggi, in fondo voleva dire nient’altro che “saccente”. Per fortuna, più che essere farina del mio sacco, quella roba derivava per un buon novanta percento dal saccheggio, ancorché del tutto inconsapevole, del giornale del nonno, con assunzione piuttosto acritica di giudizi di opinionisti di altri tempi e relativo moralismo.
Passando oltre la feroce autocritica del blogger da cucciolo, mi preme dire che questo fatto di saper trovare le parole mi ha accompagnato sempre: magari ciò che scrivo non sarà piacevolissimo da leggere, ma è preciso.
Ma… Eh, sì, adesso devo dire “ma”.
Da un po’ di tempo io le parole non le trovo più. Non mi vengono, punto e basta. Né quelle ispirate per uno degli infiniti incipit al mio romanzo che un giorno o l’altro sfonderà trionfalmente il muro di pagina dieci, né quelle – che dovrebbero, per l’appunto, almeno essere precise – per esprimere non dico il mio sentire, ma neppure il mio pensiero, durante questo periodo buio della storia di noi bipedi.
Ma come si fa a trovare le parole per penetrare la corazza di gente che se gli parli del razzismo che ormai imperversa, dell’omofobia, del conformismo abietto che tutti ormai sembrano praticare, ti guarda come fossi scemo e ti risponde “embè?”.
E fosse solo questo: ribattono pure colpo su colpo con argomenti che sembrano surreali, e che però per loro devono essere verità lapalissiane, data la tracotanza con cui pretendono di imporli. Gli immigrati? Ok a ributtarli in mare, che da noi vengono a rubare e stuprare; gli omosessuali? I froci, vorrai dire… Ah, vabbè…; e la corruzione… sì sì, però quando c’era Craxi i soldi giravano e la gente era felice, guarda che hanno combinato con Mani Pulite. E via sragionando. Con la sicumera di chi sa di essere maggioranza, e da questo trae legittimazione: siamo in tanti, siamo nel giusto, sei tu quello sbagliato. Non c’è contatto emotivo, quello che dico io non li tocca neppure e quello che dicono loro a me fa l’effetto di una salva di randellate, mi offende, mi indigna, mi provoca una rabbia che mi obnubila la mente e mi fa perdere il lume della ragione.
Le parole servono per comunicare, ma per fare questo bisogna volerlo in due. Loro non l’hanno voluto mai. Io non lo voglio più.
Per questo, di fronte a questo, mi sento sopraffatto e la voglia di confrontarmi non mi sostiene più.
Non so quando è successo, ma alla fine è andata così: ho perso le parole.