giovedì 31 luglio 2008

Marx e il salumiere di Heisenberg

Oggi vorrei parlare di uno dei temi che più appassionano la stragrande maggioranza dei miei lettori, cioè me stesso; non c’è niente da fare: di fronte all’audience, ogni sano proposito editoriale crolla, e anche il GPZ si riduce a tarare la programmazione non su ciò che sarebbe bello dire, ma su quello che il pubblico vuole sentirsi dire. Insomma, l’editore di questo blog sta sbracando vergognosamente verso il cliché nazional-popolare. E la redazione sta vergognosamente assecondandolo.
Il tema del giorno, quindi, è il principio di indeterminazione di Heisenberg. Come tutti sanno, questo caposaldo della saggezza popolare asserisce che non è possibile misurare simultaneamente in modo deterministico, cioè con precisione arbitrariamente grande, la posizione e la quantità di moto di una particella subatomica, per esempio di un elettrone.
Detta così potrebbe non suscitare soverchi entusiasmi. In fondo, si sta solo affermando che la covarianza degli errori di misura delle due grandezze ha un limite inferiore al di sotto del quale non può scendere: embè? E allora?
Lo stesso Heisenberg, pare, non colse subito in pieno tutte le implicazioni della formuletta che aveva scritto, ed ebbe bisogno di qualcuno dotato di maggiore concretezza per capire; la storia attribuisce questo merito a Niels Bohr, ma avrebbe potuto arrivarci anche il suo salumiere, ponendogli la questione sotto la giusta luce. Bohr, infatti, disse al crucco Heisenberg che il problema non stava negli strumenti di misura, ma proprio nel fatto stesso di misurare: per poterlo fare, è necessario interagire con l’oggetto della misurazione, alterandone proprio il comportamento che si vuole misurare; nel caso specifico, l’intimità dell’elettrone viene spiata bombardandolo con un fotone – il che ne altera sia la velocità che la posizione che si volevano rilevare - senza che i movimenti pacifisti muovano mai un dito per difendere la povera particella e, quel che è peggio, neppure il garante della privacy. Come dire che non è possibile agire in modo certo per modificare una situazione nella quale si è coinvolti: e questo il salumiere di Heisenberg lo sapeva senz’altro, come lo sa chiunque abbia mai provato a giudicare serenamente le abitudini domestiche del coniuge o, peggio, a fare una disamina oggettiva dell’argomento di una riunione a cui si sta partecipando.
Insomma, pare proprio che in natura non esista la neutralità.
Io credo che il massimo esempio di questo teorema l’abbia dato Marx (altro crucco, benché ebreo), che peraltro non lo poteva neppure conoscere, essendo morto parecchio prima che Heisenberg scrivesse quella strana formuletta:
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Che il buon Karl abbia scoperto (misurato) qualcosa di fondamentale sul modo in cui la storia evolve e sui suoi motori ultimi è per me difficile negarlo, anche se oggi solo a dire questo si rischia l’anatema; è anche possibile che, se Marx non avesse scoperto niente, l’umanità al comunismo ci sarebbe arrivata davvero, secondo le tappe (incautamente) illustrate dal maestro: trionfo della borghesia, genesi e maturazione dell’antitesi proletaria, giustapposizione e sintesi hegeliana. Ma Marx ha visto, ha misurato e ha divulgato, e allora sono iniziati i tentativi di anticipare l’esito finale: a che pro aspettare e lasciare tanta parte dell’umanità a subire l’Ingiustizia, se tanto la fine è nota? E così abbiamo avuto una rivoluzione in un impero dove non c'era ancora una borghesia, e poi il comunismo in un paese solo, e come è finita lo sappiamo tutti. Insomma il sanguigno crucco Marx, per il solo fatto di aver conosciuto, ha fatalmente alterato la realtà che voleva interpretare, deviandola dal suo corso, esattamente come avrebbe detto una settantina di anni dopo il crucco algido Heisenberg. Chissà che sarebbe successo, se fosse nato prima lui… Ma questo sarà probabilmente oggetto di un romanzo di fantapolitica che il GPZ scriverà a breve, ovviamente solo per trarne un adattamento bloggistico che sia l’equivalente di una soap opera da rifilare tutte le mattine alle legioni dei suoi lettori. Del resto, date un’occhiata agli orari dei miei post: prevale la mezza mattina, l’ora delle soap!

mercoledì 30 luglio 2008

La dignità fino alla fine

di Cristiana Capagni
La Voce Democratica – novembre 2007


Quanti di noi hanno vissuto l’esperienza dolorosa della lenta fine di un proprio caro in là con gli anni? Possiamo irrazionalmente rimuovere o accettare più o meno serenamente l’ineluttabilità della fine, che comunque è cosa certa (quel che non ci è dato di sapere sono “il giorno e l’ora”, citando il Vangelo). Non possiamo dunque opporci né modificare il fatto che la morte concluda, prima o poi, la nostra esistenza. E’ però nelle nostre possibilità e, moralmente, nei nostri doveri, fare in modo che questa “conclusione” avvenga nel pieno rispetto della dignità della persona.
Non volendo neppure sfiorare la spinosa questione dell’eutanasia, né quanto concerne morti premature e pertanto ancor più dolorose ed inaccettabili, ci soffermiamo però su quello che a volte appare un accanimento terapeutico su corpi ormai molto anziani e dunque con scarse (per non dire nulle) capacità di ripresa.
Che cosa spinge a prolungare l’agonia di un corpo che è comunque arrivato alla fine della sua esistenza? Quali prospettive? Non la guarigione, certamente. E neppure la pietà: bisogna essere immuni da questo sentimento per sopportare che forzosamente resistano accasciati in letti asettici di asettiche stanze i corpi dolenti che pure sono appartenuti a persone vive, che hanno amato, parlato, riso, pianto, lavorato, procreato, sognato… ora costretti ad assistere alla loro stessa decadenza, cui la natura, se indisturbata, avrebbe posto repentina fine. Fine che arriverà comunque, dopo qualche mese di indicibile sofferenza fisica e morale di chi quegli asettici letti occupa, ma anche dei suoi cari, compagni di calvario.
L’asetticità è l’elemento simbolo di questa forzatura tanto in voga: l’anziano, sradicato dal proprio mondo fatto di piccole cose e di oggetti che coi loro ricordi lo rassicurano e gli fanno compagnia, pudico e riservato, poco incline ad aprirsi alle novità, si ritrova in un mondo a lui estraneo e del tutto asettico e sterile, anche sul piano affettivo ed emozionale.
E dunque perché ci si ostina a considerare le persone come macchine cui sostituire pezzi di ricambio per farle funzionare, senza una considerazione globale, comprensiva dei km percorsi e delle reali possibilità di rombare ancora? Perché confinarci in tristi garage sterili di batteri e di vita, dai quali non usciremo, si sa, perché ormai vecchi e pieni di malanni inguaribili, che speranza abbiamo di tornare a condurre la nostra vita fuori di lì? Perché non ci lasciano la dignità di morire da esseri umani? Perché ci condannano a mesi di agonia, noi e chi ci vuol bene costretto ad assisterci e ad assistere ad uno spettacolo pietoso: riusciranno a ricordarci come eravamo “prima”?, trasformati in larve che di umano non hanno più nulla ma che conservano tutta la capacità animale di provare dolore?
Nessun anziano muore più a casa sua. E nessun anziano arrivato alla fine della vita torna d’incanto a saltare e correre e chiacchierare e cantare. Semplicemente, a ciascuno viene prolungata la vita di tre, quattro mesi, tra sofferenze e tormenti indicibili.
E oltre all’insostenibile costo emotivo e morale, qual è il costo in denaro che la collettività, i contribuenti, devono sostenere per il perpetrarsi di questa crudeltà?
Finché c’è speranza, non bisogna abbandonare la lotta, mai. Ma quando siamo ormai molto vecchi ed irreparabilmente malandati e ci trasciniamo insieme con un’insostenibile stanchezza di vivere, la nostra speranza non dovrebbe essere soltanto quella di spegnerci in pace, circondati dall’amore dei nostri cari nella serenità della nostra casa, restituendo il corpo alla Natura e l’anima a Dio?

martedì 29 luglio 2008

Elogio della bestemmia

Una volta bestemmiare significava imprecare contro Dio, ma oggi non più. Dio nel mondo non ha più niente da dire, come collante che tiene insieme un popolo. In determinati ambienti, anzi, fa anche fighetto esibire un certo ateismo militante, che non scandalizza più nessuno. Ma come si fa, allora, a tirare un bel bestemmione liberatorio, alla maniera contadina dei nostri nonni?
Per potere si può, anche se di solito non è per niente liberatorio, e anzi conduce a discussioni noiosissime e interminabili: basta prendersela con le privatizzazioni, con l’energia nucleare, buttare là che si è contro i finanziamenti pubblici alla scuola privata; insomma, tirare un sasso a una delle tante vacche sacre dell’economia di mercato, e lo scandalo è assicurato. Perché è il mercato oggi, o meglio ancora il capitalismo trionfante, il vero elemento unificante delle nostre società.
L’economia di mercato ha generato un pensiero unico ormai egemone ed esprimersi contro di esso produce sulla maggior parte della gente lo stesso effetto che il bestemmione di mio nonno contadino faceva ai bravi borghesi timorati di Dio.
Sarà capitato a tutti, fuorché ai pasdaran del neoliberismo, di sostenere una posizione eterodossa dal punto di vista dell’economia di mercato: essere contrari ad una particolare privatizzazione, come per esempio quella dei servizi idrici; invocare restrizioni contro l’urbanizzazione selvaggia delle coste e delle aree protette; opporsi al finanziamento pubblico delle scuole private, e così via. Ancora una decina di anni fa, posizioni di questo tipo avevano non solo diritto di cittadinanza, ma erano probabilmente anche maggioritarie; oggi sostenerle non dico in un dibattito, ma anche la sera a cena in compagnia, magari, di qualche amico di quella tipologia “illuminati di sinistra” che tutti annoveriamo tra le nostre conoscenze, mette in difficoltà. O almeno mette in difficoltà me, perché mi pare che questa gente abbia un grado di accettazione delle opinioni altrui inversamente proporzionale alla sicumera con cui butta là le proprie; che di solito non hanno niente di originale e sono prodotte in fotocopia (ne senti uno e li hai sentiti tutti) a partire da certi presupposti del tutto indimostrabili come sempre sono i presupposti, e quindi non migliori dei miei, ma che – a differenza dei miei - hanno avuto l’imprimatur da legioni di opinionisti, politici d’accatto, pensatori da bar e filosofi da piazzetta Italia, e si sa, lo disse Goebbels, una menzogna ripetuta mille volte alla fine diventa vera.
Hai voglia tu a sgolarti, a sventolargli davanti evidenze macroscopiche e incontestabili: desertificazione, crescente scarsità di acqua potabile, rivolgimenti climatici, guerre carestie epidemie, crollo spaventoso del potere d’acquisto delle classi medie dei paesi sviluppati, crisi alimentari, invasioni marziane, collisioni con meteoriti, le cavallette… E’ inutile, perché al momento di dire “è ora di fare qualcosa” l’interlocutore, di solito, non ti lascia nemmeno finire la frase e spalanca gli occhi, trattiene il fiato scandalizzato, e subito replica “sì, ma… l’economia di mercato…”; questo se è educato, sennò ti aggredisce direttamente e ti bolla come catastrofista. Su cosa basi lui la sua fiducia nel fatto che il peggio non accadrà, non è dato sapere: semplicemente, va accettato in quanto opinione prevalente. E quindi fede, superstizione, perché come altro volete chiamare la convinzione incrollabile di chi non tiene nel minimo conto il pare delle poche persone che sono in grado dire qualcosa, e cioè degli scienziati?
E’ per questo che mi sono tanto simpatici i bestemmiatori: non i bestemmiatori di Dio, che avevano una funzione positiva qualche secolo fa, ma oggi sono solo volgari; quello che mi piace è il bestemmiatore eterno, l’ur-bestemmiatore, quello capace di alzarsi in piedi davanti a una folla oceanica adorante qualche idolo di cartapesta e dire a tutti “signori, state facendo una colossale cazzata”, qualsiasi sia il feticcio oggetto di adorazione in quel momento: il Dio degli eserciti, l’Uomo della Provvidenza, il vitello d’oro, il denaro, il potere, la gnocca…
Bestemmiò Pasolini, quando prese le difese dei poliziotti – proletari veri – di fronte alla folla conformista degli studenti marxisti mantenuti da papà; bestemmiò Giordano Bruno, rivendicando la libertà di usare la ragione anche di fronte ai dogmi di fede; bestemmiò Galileo, che poi fu costretto a ritrattare; bestemmiò Gandhi, liberatore di un popolo senza aver sparato un solo colpo di fucile. E’ dove si bestemmia che sta la vita e la novità, non nei salotti autocelebrativi del pensiero dominante. E’ la bestemmia l’arte da coltivare: ognuno secondo il suo talento, ognuno secondo il suo coraggio, e però bestemmiate, gente! Bestemmiate!

domenica 27 luglio 2008

Dove ti piazzo il pupo

di Cristiana Capagni
La Voce Democratica – 19 giugno-3 luglio 2008


Ci risiamo: la scuola è finita e ciascuno si gestisca il pupo a modo suo.
Va fatto tuttavia qualche distinguo. La scuola materna, dedicata ai bambini dai tre ai sei anni circa, prosegue fino alla fine di questo mese per riprendere a settembre inoltrato. Totale: più di due mesi di “buco”. Il nido, considerato servizio pubblico dedicato ai neonati e fino ai tre anni di età circa, chiude i battenti soltanto per il mese di agosto, obbligando dunque le famiglie ad andare in massa in vacanza in quel periodo, cioè l’esatto contrario delle tanto decantate “vacanze intelligenti” (mostrando in tal modo la vetustà di un certo pensiero nazionale, ancora legato alla serrata d’agosto). La scuola elementare ha un periodo di vacanza di più di tre mesi. Evidentemente troppo per qualsiasi lavoratore, dipendente o autonomo che sia. Le soluzioni sono le più disparate: c’è chi manda i propri figli presso nonni o zii, chi nonostante non sia separato effettua vacanze separate dal proprio coniuge per estendere il periodo di “copertura”, chi prende un periodo di aspettativa non retribuita (e non tutti se lo possono economicamente permettere, senza considerare che non sempre il lavoro può essere sospeso per lunghi periodi), chi – e sono la maggioranza – usufruisce dei centri estivi tanto in voga.
Negli ultimi anni sono sorti come funghi, fiutando il business ed andando a colmare una immensa lacuna lasciata dai servizi pubblici. Ve ne sono in mezzo alla natura, dove vengono organizzati veri e propri “campus” con soggiorno completo (a prezzi proibitivi), e dove non tutti i genitori sono disposti a mandare i propri figli, specie se più piccoli e figli unici. Si parla del “mammismo italiano”, tuttavia non sempre questo atteggiamento è soltanto deteriore: il senso di famiglia si sgretola anche così, spedendo i figli come pacchi postali ingombranti e non potendoli seguire, per ovvie ragioni di distanza, nel loro percorso di crescita, riducendo il contatto emotivo alla telefonata serale di un minuto.
Vi sono poi i centri estivi cittadini: alcuni eccellenti, dove svolgono attività di animazione giovani estremamente motivati e preparati, che organizzano attività sportive e ludiche davvero di ottimo livello, mentre altri centri estivi francamente lasciano a desiderare, pur utilizzando le stesse identiche frasi sui volantini che reclamizzano “attività ludico ricreative” si rivelano essere in realtà quasi dei parcheggi, dove i bambini si annoiano e non si riposano neppure.
Manca quindi un organismo che certifichi la reale validità di questi centri e la loro rispondenza alle aspettative dei piccoli fruitori e dei loro genitori: sarebbe auspicabile una graduatoria pubblica, con punteggio assegnato per qualità di servizi.
Manca soprattutto un aiuto economico alle famiglie, che devono sobbarcarsi costi talvolta davvero molto elevati per sopperire alle mancanze dei servizi pubblici: se i Comuni non possono assumersi l’onere organizzativo, potrebbero almeno partecipare con dei contributi in modo da sgravare le famiglie di parte di questi consistenti costi aggiuntivi necessari all’accudimento dei propri figli.
Nel nostro Paese si parla demagogicamente di tutela della famiglia ma al dunque gli oneri ricadono esclusivamente su chi, testardamente, si ostina a mettere al mondo esseri umani che dovrebbero essere considerati dalla società come il più prezioso degli investimenti.

venerdì 25 luglio 2008

Sognatori di giorno

Ieri un elicottero pakistano ha portato in salvo i due compagni di Karl Unterchirker, caduto sul Nanga Parbat dieci giorni fa. Loro ce l'hanno fatta, Karl è rimasto là. Troppo presto, anche se è la fine che probabilmente si sarebbe augurato, solo un po' più in là, molto più in là.
E sono più di due anni che se ne è andato anche Angelo D'Arrigo, trasvolatore, come si diceva una volta; o "volatore", che è più bello ed è il termine che usò Leonardo per descrivere il pilota di quel suo prototipo di elicottero che mai vide la luce, troppo in anticipo sui tempi. Anche Angelo se ne andò nel suo elemento, che era l'aria, quella stessa aria a cui stava per restituire due pulcini di condor orfani presi sulle Ande e allevati in Sicilia, in attesa di tornare a solcare quei cieli purissimi.
Alpinisti, volatori, gente che non sa tenere i piedi attaccati per terra, ha bisogno di portarli tra le nuvole, a raggiungere la testa. Per loro trovo bella questa frase attribuita a T. H. Lawrence, o Lawrence d'Arabia, che lessi con un groppo in gola ai piedi dell'Aconcagua, incisa sulla targa con foto in memoria di una altro grande sognatore, un ragazzo di trentadue anni con una gran barba e un sorriso epico, che da quella montagna non è sceso mai: "Tutti gli uomini sognano, non pero' allo stesso modo. Quelli che sognano di notte nei polverosi recessi della mente si svegliano al mattino per scoprire che il sogno e' vano. Ma quelli che sognano di giorno sono uomini pericolosi, giacche' ad essi e' dato vivere i sogni ad occhi aperti e far si' che si avverino."
In questo mondo di polistirolo, non si sa se il demone che invasa questa gente e la spinge dove nessun altro osa sia piuttosto una maledizione; però è bello, anche nella tragedia, sapere che c'è ancora qualcuno capace guardarsi dentro e fare né più né meno che quello che legge nella sua anima. Assumendosene le responsabilità fino in fondo, anche davanti all'estremo.

giovedì 24 luglio 2008

L'energia del Sole (24 ore)

Quella che segue è la trascrizione integrale dell'intervista di quello che è secondo me il miglior quotidiano italiano - anche se raramente concordo con le sue posizioni - ad una persona che di nucleare se ne intende: Francesco Troiani, coordinatore della ricerca nucleare dell'Enea e presidente di Nucleco, la società partecipata da Sogin ed ENEA che si occupa di gestire le scorie nucleari a bassa e media intensità.
L'intervista mi sembra ben fatta, la cosa che mi stupisce (fino a un certo punto) è la totale mancanza di collegamento tra le premesse e le conclusioni del discorso; si dice che l'energia nucleare costa più delle altre, che l'uranio è in via di esaurimento e costerà sempre di più, che in regime di tassi di interesse alti (come sta accadendo) gli elevati costi di investimento renderanno quest'energia sempre più cara e.... però il paese deve "fare squadra per il nucleare". Ma che è, il Santo Graal?


Il Sole 24 Ore
23 LUGLIO 2008
«Fare squadra per il nucleare»
di Federico Rendina

Dieci anni per il ritorno del nucleare "made in Italy". Non prima, considerando i tempi tecnici necessari alla filiera industriale, alla ricostruzione delle strutture di controllo, al non facile recupero del consenso popolare. Non dopo, se tutto andrà veramente per il verso giusto. E guai ad assecondare la polemica sull'opportunità di mettere subito in campo le centrali di terza generazione o aspettare il sogno della quarta, che promette di digerire e riciclare in assoluta sicurezza perfino gli attuali detriti radioattivi, abbattendo drasticamente i costi operativi. Terza e quarta generazione potrebbero, anzi, andare a braccetto. Passandosi utilmente il testimone lungo la strada. A tracciarla, in questa intervista, è uno dei tecnici italiani più quotati: Francesco Troiani, coordinatore della ricerca nucleare dell'Enea e presidente di Nucleco, la società partecipata da Sogin ed ENEA che si occupa di gestire le scorie nucleari a bassa e media intensità.

A quali condizioni tecnico-operative è ipotizzabile un ritorno italiano alla produzione elettrica da nucleare entro qualche anno, come si propone il Governo?
Potremmo farcela solo se tutte ma davvero tutte le parti coinvolte, dagli organismi istituzionali e di controllo agli enti di ricerca e formazione, dall'industria agli operatori energetici, ma anche il mondo della finanza e le parti sociali, riusciranno a creare un vero sistema di cooperazione. L'energia nucleare può contribuire alla soluzione della questione energetica ma, sebbene presenti un basso costo per kilowattora, è caratterizzata da alti costi di investimento che devono essere salvaguardati attraverso programmi a lungo termine, con politiche di protezione degli investimenti e di stabilizzazione dei prezzi.

Qualche anno cosa vuol dire?
Dipenderà da quanto saremo efficaci e veloci nel ricostruire il cosiddetto "sistema paese" ed a riacquistare un più ampio consenso del pubblico. Non è consigliabile ripartire senza aver risolto le problematiche più urgenti. Il sistema regolatorio deve essere adeguato, aggiornando il regime normativo e ricostruendo le competenze delle autorità di controllo. L'industria nucleare deve avere un adeguato supporto per poter incrementare la capacità produttiva di componenti e di impianti, irrobustire le sue conoscenze, con l'ausilio di solidi piani di ricerca. Per non parlare del problema, rilevante, dell'informazione: bisogna eliminare le distorsioni e supportare un sistema
partecipativo al processo decisionale, per ristabilire una corretta percezione del rischio anche attraverso un confronto con le altre fonti energetiche. Azioni che richiedono almeno un paio di anni per fornire i primi risultati. E poi, se tutto marcerà per il vero giusto anche sul fronte autorizzativo, la costruzione di una centrale nucleare potrebbe richiedere circa 7/8 anni.

Cosa avrebbero di diverso le centrali nucleari progettate oggi rispetto a quelle che abbiamo chiuso con il referendum del 1987?
Principalmente la sicurezza e la durata, che con le attuali macchine può essere di molti decenni. Oggi la sicurezza nucleare ha raggiunto standard molto elevati, sviluppando il cosiddetto concetto della "difesa in profondità", che si basa su sistemi ingegneristici attivi e
passivi che in maniera automatica possono portare il reattore fino allo spegnimento in condizioni di sicurezza, con garanzia di contenimento della radioattività in ogni fase.

Costi?
I costi per la costruzione di una centrale nucleare, stimati nel 2005 dall'Agenzia per l'energia nucleare dell'Ocse, erano compresi tra i 1.500 e i 2.000 euro per kilowatt elettrico di potenza installata. Negli ultimi tre anni questi hanno subito un sensibile aumento, in funzione di una ripresa potenziale della domanda. Le transazioni commerciali sono coperte da riservatezza, ma si stima che i costi siano ancora inferiori ai 3.000 Euro per kilowatt, contro i 500-1.000 euro a kW necessari per costruire una tipica centrale a ciclo combinato di gas. Una centrale nucleare di media potenza, di circa mille megawatt, avrebbe dunque un costo intorno ai 3 miliardi di euro. Chiaramente, prezzi più bassi possono essere negoziati con il fornitore in funzione delle condizioni della fornitura e soprattutto del numero di unità acquistate. Ci sono poi gli altri costi da aggiungere: l'uso del territorio e gli oneri di sistema. La cosa più importante però è quanto costa l'energia prodotta dalla filiera nucleare e cosa può succedere in prospettiva.

Appunto, cosa succederà?
Sempre l'Agenzia Ocse nel 2005 stimava i costi finali in funzione del tasso di sconto, mostrando che con un costo del denaro al 5% i costi dell'energia in dollari per megawattora prodotto erano all'incirca i seguenti: nucleare 23-35, carbone 22-48, gas 40-55. Mentre con un costo del denaro al 10%, nucleare 31-53, carbone 28-58, gas 43-58.
Considerando l'aumento dei prodotti petroliferi, i costi riferiti al gas oggi vanno rivisti al rialzo.

Anche i prezzi dell'uranio non scherzano.
Vero. La prospettiva di crescita della domanda di energia nucleare ha generato un drastico aumento del costo dell'Uranio. Di fatto l'Uranio, dopo vent'anni di costi molto bassi, intorno ai 10 dollari per libbra, nel 2006 aveva raggiunto circa 50 dollari per libbra ed oggi è intorno ai 100 dollari. Sembrerebbe una situazione analoga a quella del petrolio. Ma la differenza sostanziale sta nel fatto che il costo dell'uranio incide solo per il 5% sul costo dell'energia elettrica finale, così un aumento del costo dell'uranio anche di 10 volte, porterebbe ad un incremento del costo finale dell'energia inferiore al 50%. Nel caso del gas, invece, dove l'incidenza del costo del combustibile sul prezzo finale dell'energia elettrica e del 70-80%, il trasferimento sul prezzo finale è pressoché integrale. Questi parametri devono essere attentamente valutati nello sviluppo degli scenari a lungo termine e nella definizione dei relativi piani energetici.

Stiamo parlando di centrali di terza generazione, disponibili oggi. La quarta generazione promette di tagliare anche i costi operativi, moltiplicando le risorse del combustibile, oltre a incrementare tutti i fattori di sicurezza. E' così?
Proprio così. La limitata disponibilità in natura dell'Uranio, a parte i costi, pone il rilevante problema della durata delle scorte accertate. Con l'attuale generazione di reattori, ai ratei di sfruttamento odierni, la produzione di energia nucleare
non potrà durare a lungo. Se nei prossimi decenni non si cambierà l'attuale parco di reattori con i cosiddetti "reattori veloci" le riserve accertate di Uranio si esauriranno in meno di un secolo, riproponendo a breve termine una situazione analoga a quella odierna sul petrolio e vanificando qualunque investimento nel settore. Inoltre, la quantità di scorie ad alta radiotossicità e a lunga vita, prodotte oggi con reattori di seconda e terza generazione, è destinata ad aumentare al ritmo attuale, ponendo in maniera sempre più decisa la problematica della gestione dei rifiuti radioattivi ad alta attività. In particolare, gli attinidi costituiscono, se rilasciati nell'ambiente, un grande pericolo per gli organismi viventi e, pertanto, per una corretta gestione occorre isolarli dalla biosfera per lunghi periodi, centinaia di migliaia di anni.

Le scorie: ecco un altro problema che in Italia non riusciamo a risolvere. La strada corretta qual è?
Per lo smaltimento definitivo il deposito sotterraneo in strutture profonde geologicamente stabili, associato ad opportuni sistemi di contenimento, è una soluzione accettata, tecnologicamente sostenibile ed è in programma in molti Paesi. E' evidente, però, che esistono forti motivazioni per accelerare l'industrializzazione di tecnologie che, attraverso processi di separazione e trasmutazione, permettano di ridurre fortemente le quantità, i tempi di confinamento, la radiotossicità ed il carico termico dei rifiuti a vita lunga, al fine di limitare quanto più possibile l'onere della gestione delle scorie radioattive e l'aumento significativo del numero dei siti di smaltimento. La comunità scientifica e l'industria di settore, stanno appunto fornendo risposte efficaci ad entrambe le problematiche con l'iniziativa Generation IV, che si propone di sviluppare e rendere disponibili i cosiddetti reattori di quarta generazione, capaci di massimizzare l'utilizzo del materiale fissile, anche attraverso processi di fertilizzazione, in modo da allungare decisamente la durata del combustibile nucleare a diverse migliaia di anni e, al tempo stesso, minimizzare la produzione dei rifiuti radioattivi a lunga vita, rendendoli combustibili per questi nuovi impianti, abbattendo quindi i costi.

E' realistica l'ipotesi del debutto della quarta generazione entro dieci anni?
I piani di sviluppo a livello comunitario ed internazionale, impostati negli anni passati
prima dei recenti avvenimenti che hanno suscitato notevoli preoccupazioni sulla disponibilità futura e a basso costo dell'energia, prevedevano tempi più lunghi.
Per esempio la Francia, che ha in esercizio reattori per una potenza elettrica installata per oltre 60 gigawatt, ha un piano che prevede l'industrializzazione dei reattori di quarta generazione fra alcuni decenni, al posto degli attuali. Altri Paesi potrebbero avere interessi più stringenti per accelerarne lo sviluppo e l'industrializzazione. I primi prototipi, anche se non con tutte le prerogative di quarta generazione, soprattutto sul ciclo del combustibile, potrebbero essere realizzati abbastanza presto ed alcuni dimostratori sono già previsti. Per una filiera industriale completa il discorso è diverso, dieci anni non sono molti e tutto dipenderà da quante risorse saranno disponibili per queste
attività e le competenze che si potranno mettere in campo. Non è facile dare una risposta certa a questa domanda, gli interessi e gli scenari possono cambiare rapidamente. Basti solo pensare all'atteggiamento che c'era in Italia verso il nucleare solo qualche anno fa. Oggi la situazione è completamente diversa. Chissà se i Paesi che hanno notevoli competenze e capacità in questo settore non decidano di anticipare drasticamente i tempi.

Allora non vale le pena di aspettare?
Queste scelte possono essere solo il frutto di uno studio ampio ed esaustivo. Sarebbe sbagliato e riduttivo farle in funzione delle opinioni personali che ognuno di noi può avere. C'è però un'altra possibilità: partire con le prime macchine di tecnologia attuale, nel frattempo supportare ed accelerare lo sviluppo dei reattori di quarta generazione e passare alla loro installazione non appena avranno raggiunto la necessaria maturità tecnologica. Anche questa possibilità, però, deve essere valutata all'interno di uno studio tecnico-economico e verificarne la reale sostenibilità.

Cosa ne pensa della collaborazione che sta allacciando in Russia la Del Fungo sui reattori di quarta generazione raffreddati al piombo?
Mi sembra molto interessante e promettente. Il sistema russo possiede notevoli competenze e tecnologie su questa filiera. Questo sistema è stato utilizzato anche per la propulsione dei sommergibili nucleari e oggi i russi stanno sviluppando dei modelli per usi civili. Anche l'Italia ha notevoli competenze in questo settore. Il reattore veloce al piombo è stata una
delle filiere sviluppate dall'Enea con i suoi partner, dedicando molte risorse e notevoli impegni su questo filone di ricerca, al quale ho partecipato personalmente.

23 LUGLIO 2008

mercoledì 23 luglio 2008

E’ più logico mangiare bio (logico)

di Cristiana Capagni
La Voce Democratica – 5-19 giugno 2008


Quanti fra noi non hanno mai sostenuto che “le cose di una volta” erano migliori?
Eh, i pomodori del campo del contadino, e chi li trova più… Signora mia, oggi è tutto artefatto, per carità… Il rimpianto per “i sapori di una volta” è piuttosto comune. Eppure c’è una inspiegabile resistenza psicologica al biologico, che pure – a onor del vero – ha un trend in continuo aumento. Chi compera e consuma preferibilmente prodotti biologici avrà senz’altro provato quella fastidiosa sensazione di esser guardato come se fosse un ufo anche un po’ credulone, e non importa se le persone con cui sta parlando siano di mentalità aperta e buona cultura. Mangi biologico uguale povero illuso.
La contrarietà che viene più frequentemente espressa è che “tanto ormai è tutto inquinato”, pertanto sarebbe inutile illudersi che si possano coltivare dei vegetali esenti dalla contaminazione. Tuttavia ci arriva pure un bambino a capire che un prodotto coltivato in modo organico, senza pesticidi e fertilizzanti chimici, sarà comunque meno inquinato da tali sostanze (che pure potrebbero in minima misura essere presenti ovunque, visto che le hanno rinvenute anche tra i ghiacci del Polo) rispetto ad un vegetale industriale.
La seconda opposizione è “ma perché, ti fidi? Chissà che roba è, ti prendono in giro”. Ma questo vale per qualsiasi prodotto, biologico o no: il rischio di frode esiste, e che non sia solo un rischio lo abbiamo visto di recente con i casi dell’olio extra vergine di oliva edulcorato, il vino avvelenato, la mozzarella di bufala alla diossina. Nessuno di questi prodotti era spacciato per biologico. Ciononostante il consumatore non pensava certo di mettersi nel piatto o nel bicchiere un compendio di prodotti chimici dannosi per la salute. Ed infatti era truffa. Perciò il rischio della truffa alimentare esiste in qualsiasi caso, biologico o non biologico.
Capita poi di imbattersi in tesi fantasiose, come quella che sostiene che i vegetali coltivati biologicamente sono rischiosi poiché al posto dei fertilizzanti chimici utilizzano i vecchi sistemi di una volta, ossia il letame, e che dunque bisognerebbe lavarli con maggior attenzione. Seguendo lo stesso ragionamento, viene da chiedersi perché mai allora non sostituire i prati con delle distese di erba artificiale, che a pensarci bene offrirebbe il vantaggio di non dover essere irrigata e di non sporcare le suole, e poi vogliamo mettere il vantaggio di sdraiarsi su di un prato senza formiche?
Se vogliamo consegnare alle future generazioni un mondo ancora capace di accogliere e nutrire le proprie specie, razza umana inclusa, dovremmo invece ricorrere quanto più possibile alle coltivazioni biologiche giacché – se anche non ci interessa cosa mettiamo nel piatto – non possiamo ignorare che l’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti chimici contamina la terra ed anche le falde acquifere per molti anni a venire.
Secondo un vecchio proverbio indiano, noi non abbiamo ereditato la Terra dai nostri genitori:l’abbiamo ricevuta in prestito dai nostri figli. Dovremmo trattarla meglio, per fargliela trovare in buone condizioni quando sarà il loro turno.

martedì 22 luglio 2008

Farsi un'idea

Oggi in Italia tutti hanno un'idea sull'energia nucleare, ed è un'idea prevalentemente a favore; appena due-tre anni fa, tutti avevano - anche allora - un'idea, ed era in massima parte un'idea contraria. Il dato comune a queste due situazioni è che, a fronte della maggioranza vastissima di persone che hanno un'opinione netta, sono pochissimi quelli che, oltre all'opinione, hanno anche un’idea chiara del tema su cui si esprimono.
Questo è un vero male nazionale che non riguarda solo la discussione sull'energia nucleare, riguarda tutto: dalla nazionale di calcio (i famosi sessanta milioni di commissari tecnici) alla politica monetaria della Banca Centrale Europea. Non c’è niente di male nell’esprimere opinioni, e anzi è quello che ci si aspetta dai cittadini in democrazia; il problema è che bisognerebbe anche sapere di cosa si sta parlando.
Il caso dell’energia nucleare è paradigmatico, e quindi lo propongo come esempio, anche per riprendere il post di Cristiana di qualche giorno fa.
Lei sollevava il problema dello smaltimento delle scorie, tuttora irrisolto, e andava senza mezzi termini al nodo centrale della questione, che è l’impossibilità di puntare sul risparmio in una società la cui economia è condannata ad aumentare perpetuamente i propri consumi per poter sopravvivere.
Io vorrei aggiungere alcune considerazioni di economia elementare che sarebbero di dominio pubblico, se solo “la ggente” prima di parlare avesse la diligenza minima di documentarsi. Per chi volesse farlo, io ho trovato molto utile Le energie pulite, un libricino scritto da Pietro Menna per Il Mulino e presentato nella collana Farsi un’idea, meritoria in quanto cerca proprio di andare incontro alle esigenze di documentazione minima dei cittadini, costretti oggi ad avventurarsi su terreni troppo impervi per poter essere esplorati senza l’aiuto di una guida indigena (medicina, bioetica, fisica, chimica, economia, ecc.).
Riguardo all’energia nucleare si capiscono subito alcune cose:
1) non è vero che è economica, in realtà costa molto di più di tutte le altre energie, ma il costo in bolletta sembra più basso perché non comprende mai lo stoccaggio delle scorie e neppure lo smantellamento della centrale, al termine del suo ciclo di vita.
2) Questi costi non vengono contabilizzati perché non sono mai sostenuti dal privato che realizza la centrale, ma dallo stato, e vengono finanziati attraverso le tasse; in soldoni (è proprio il caso di dirlo): oggi non esiste al mondo una sola compagnia che realizzi in toto (e in proprio) centrali nucleari; tutte godono di robuste sovvenzioni statali, per cui i cittadini si illudono di pagare poco l’elettricità quando ricevono la bolletta, mentre la strapagano senza saperlo quando fanno la denuncia dei redditi (e infatti la Francia è uno dei paesi con la pressione fiscale più alta al mondo, anche se c’è da dire che è più bassa della nostra e comunque loro, in cambio delle tasse, ai cittadini danno anche dei servizi, cosa che da noi non si usa).
3) L’uranio è in via di esaurimento esattamente come il petrolio, e infatti le sue quotazioni di borsa stanno salendo verso la stratosfera; questo nonostante siano diversi anni che al mondo di nuove centrali se ne vedano davvero pochine.
4) Al momento, non c’è modo di impedire ad uno stato che disponga di una centrale nucleare civile il suo uso a fini bellici (il caso dell’Iran dovrebbe essere un esempio lampante di questa problematica).
5) E’ stato calcolato che un serio piano di risparmio energetico darebbe al nostro paese un apporto pari a quello di quattro o cinque centrali di terza generazione; ovviamente, questo presupporrebbe il crollo del fatturato di colossi come ENEL, ENI, ACEA e compagnia, e quindi è fuori discussione.
A queste considerazioni dell’esperto aggiungo un po’ di buon senso pratico:
1) se il rischio di incidente è basso per la singola centrale (mettiamo uno ogni diecimila anni), questo si tradurrebbe in un incidente all’anno qualora avessimo diecimila centrali. Onestamente non so quant’è davvero il rischio e neppure quante centrali ci siano oggi nel mondo, ma che il rischio aumenta con il numero degli impianti lo capiscono anche i gatti veri, quelli di tipo felis catus, non c’è bisogno di un probabilista come il vostro Gattopuzzo.
2) L’unico vantaggio concreto che può derivare dal nucleare è quello della diversificazione, e cioè la riduzione della dipendenza da altre fonti (in particolare dal gas, verso cui è fortemente sbilanciato il mix italiano).
Ma se le cose stanno così a chi conviene il nucleare? La risposta a questa domanda, date le premesse fatte sopra, ormai è quasi banale: il nucleare conviene innanzitutto a chi lo realizza, perché intasca un oceano di fondi pubblici; e poi conviene all’industria, che scarica i costi dell’energia che usa sulla fiscalità generale (cioè sulle tasse che paghiamo tutti).
In Italia però il dibattito è sempre stato – in questo campo come in tanti altri - soprattutto emotivo, e il passaggio da una maggioranza di contrari ad una di favorevoli è stato facilmente conseguito dagli interessati attraverso adeguate campagne di stampa: è bastato averne i mezzi.
Ma quand’è che da burattini orientabili ci decideremo a trasformarci in cittadini veri?

lunedì 21 luglio 2008

IRRRSC - cronache dal terzo pianeta dal sole

Perché gli italiani sono diventati razzisti, rabbiosi, reazionari, spaventati e cupi? Una discussione con un’Italiana Razzista, Rabbiosa, Reazionaria, Spaventata e Cupa (IRRRSC) è meglio di mille tomi di sociologia, per capire cosa è successo.
Il vostro GPZ ve la racconta calda calda, come il pane appena sfornato.
Apporrò alla trascrizione più o meno letterale dei titoletti, dividendola in capitoli che chiamerò movimenti, per evidenziare le diverse sfumature dell’atmosfera (comunque irrespirabile) in cui sono stato immerso nell’ultima ora.

La scena: mensa aziendale, IRRRSC e il GPZ sono colleghi e stanno pranzando insieme. Anche IRRRSC ha una laurea in statistica, come il GPZ (questo particolare non è del tutto irrilevante).

Movimento 1 - Ossessione
IRRRSC: ma tu non fai mai footing?
GPZ: non saprei dove, nel quartiere Prati non ci sono grandi spazi verdi, a parte i giardini del Vaticano dove non mi faranno entrare mai, anche se l’acqua per irrigarli la offriamo gentilmente noi.
IRRRSC: in che senso?
GPZ: nel senso che quegli scrocconi non hanno mai pagato l’acqua e avevano quarantaquattro miliardi di debiti con l’ACEA, gentilmente saldati dallo stato italiano, che adesso si è anche assunto definitivamente l’onere di pagargli acqua e scarichi idrici tutti gli anni. Il diritto di andare a correre nei loro giardini secondo me ce l0’avrei, ma il pastore tedesco non la pensa così…
IRRRSC (improvvisamente alterata): mai che te ne risparmiassi una tu, di polemica! Invece di prendertela con chi fa del bene, perché non te la prendi con questi porci extracomunitari che stanno da noi a fare il cazzo del comodo loro e violentano, ammazzano e nessuno gli dice un cazzo?
GPZ (punti interrogativi al posto delle pupille): che c’entrano mo’ gli extracomunitari?
IRRRSC (esagitata): i preti sono gli unici a occuparsi degli italiani poveri, perché non te la prendi anche con chi ruba e ammazza?
GPZ: con chi ruba e ammazza sì, ma ripeto, che c’entrano con questo gli extracomunitari? hanno mica l’esclusiva del crimine splatter e truculento? E poi ho una lingua sola e riesco a parlare solo di un problema alla volta.
IRRRSC (si agita sulla sedia): ah, sono degli agnellini, eh? Ma non li vedi i telegiornali?
GPZ (esterrefatto volgente all’incazzato, retropensiero: questa è scema): ce l’hai pure tu una laurea in statistica, perché invece di rincoglionirti con la grancassa dei media non guardi i rapporti dell’ISTAT e quelli del ministero dell’Interno?

Movimento 2 – Oscuramento deliberato dei fatti
IRRRSC: e che c’entra?
GPZ: c’entra perché c’è scritto che gli extracomunitari sono poco meno del dieci per cento della popolazione e commettono poco meno del dieci per cento di tutti i reati; esattamente come gli italiani, come vedi; quelli regolari, addirittura, hanno un tasso di criminalità che è meno di un quinto rispetto agli italiani; inoltre, dal 1990 a oggi il numero di omicidi in Italia si è più che dimezzato, passando da oltre 1.500 a poco più di 700; che è lo stesso numero che ha New Orleans negli USA, con la differenza che lì sono seicentomila e qui siamo quasi sessanta milioni, alla faccia della tolleranza zero dei terribili giustizieri americani.

Movimento 3 – Costruzione di un nemico
IRRRSC (strafottente): che strano, giornali, radio, televisioni non sanno un cazzo, queste cose le sai solo tu…
GPZ (contiene a fatica l’incazzatura): no, le sapresti anche tu se le volessi sapere. Le pubblica l’ISTAT, mica Al Qaeda.
IRRRSC: non ho bisogno di conoscere queste cifre, mi basta vedere quello che hanno fatto a quella poveraccia della signora Reggiani e a quella ragazza sotto la metro…
GPZ: fanno due morti ammazzati su settecento… Gli altri?
IRRRSC: gli altri che?
GPZ: niente, magari parecchi degli altri li hanno ammazzati gli italiani… Tipo quel padroncino di Bergamo che diede fuoco al suo dipendente rumeno che chiedeva l’aumento, o la ragazza rumena violentata da un italiano e ridotta a un trafiletto di tre righe in cronaca, un mesetto fa, o la ragazzina tunisina di tredici anni travolta a Fiumicino da un SUV guidato da una signora bene che è pure scappata, o tutte le donne italiane ammazzate da mariti, fidanzati e spasimanti delusi…

Movimento 4 – dove IRRRSC rimodella la realtà sui suoi fantasmi
IRRRSC (occhi fuori dalle orbite, fra un po’ le schizzano contro gli occhiali): ma piantala! L’hai detto pure tu che noi siamo un popolo non violento (sic!), che da quindici anni a questa parte commettiamo sempre meno reati! E adesso dobbiamo sopportare questi che vengono a massacrarci a casa nostra!
GPZ (dentro di sé invoca un fulmine dal cielo a liberarlo da questa pazza): io veramente avevo detto un’altra cosa… e gli italiani, te l’ho detto, tra i vari sport hanno sempre praticato anche lo stupro delle figlie e l’omicidio della moglie…alla faccia del popolo pacifico…
IRRRSC: e poi sono stufa di vedere che in tutte le graduatorie per gli asili nido e le case popolari loro vengono prima degli italiani e si beccano tutti i posti perché non pagano le tasse e risultano poveri, e invece hanno certi villoni che te li sogni! Ma non lo vedi che quando vengono a lavarti il vetro al semaforo hanno tutti i denti d’oro?
GPZ: ???????????????????????????????????????????????????????
IRRRSC: !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
GPZ: rumeni con i villoni?
IRRRSC: sì, tutti i paesi intorno a Roma sono pieni di questa gente (qui il GPZ ha avuto il dubbio di stare parlando con un abitante di Alfa Centauri, n.d.r.), non pagano le tasse e sfruttano i nostri servizi, e basta!
GPZ: ………………….
IRRRSC: ……………..
GPZ: guarda che mi sa che ti sbagli, sono gli italiani che fatturano in nero il 25% del PIL…

Movimento 5 – di come IRRRSC prende coscienza che la sinistra è un’amante che l’ha abbandonata: vendetta!
IRRRSC: ecco, lo dici pure tu! Gli italiani le tasse le pagano quasi tutte (sic!), il 75%! Sono loro che magnano a sbafo! E tu e quelli che la pensano come te, che avete fatto quando avete governato? Gli avete dato il permesso di venire quando vogliono e di fare il cazzo del comodo loro!
GPZ: guarda, cara IRRRSC, che ti stai scaldando troppo e stai pure dicendo un mucchio di cazzate: 60 -70 miliardi di miliardi di euro di tasse evase sarebbe poco? E che c’entro io, che fra l’altro non ti ho mai detto per chi voto, con l’ingresso libero dei rumeni che fu voluto da Berlusconi nel 2004 e lui poi se ne vantò pure dicendo al premier rumeno che avrebbe dovuto fargli un monumento?

Movimento 6 - riscrittura della storia
IRRRSC: si vabbè… tanto come la giri la giri, hai sempre ragione tu…
GPZ: ma io ti sto portando fatti e numeri, mica opinioni! Portami anche tu fatti e numeri, se vuoi convincermi!
IRRRSC: ma che fatti e numeri, tu ti stai aggiustando le cose come ti fa comodo! Ma perché questi devono venire qui a rompere le palle? Ma che noi siamo mai andati a romperle agli altri?
GPZ: ma la conosci la storia o almeno l’hai mai visto qualche film? Quattordici milioni di italiani emigrati in pochi decenni in tutto il mondo?
IRRRSC: sì, ma mica siamo andati ad ammazzare, a rubare, a sporcare e fregare il lavoro agli altri!
GPZ: ah, no? E la mafia negli Stati Uniti chi ce l’ha portata? E perché i portuali francesi negli anni venti e trenta facevano spedizioni punitive contro gli italiani che lavoravano a tariffe che erano la metà di quelle che chiedevano loro? E sei sicura che i nostri antenati amassero l’igiene? Tutti li scansavano, perché dicevano che puzzavano di aglio e cipolla, tenevano le capre in casa, erano sempre ubriachi e avevano il coltello facile. Ed erano pure grandissimi ladri. Leggiti L'orda - quando gli albanesi eravamo noi, di Gian Antonio Stella, lo stesso che ha scritto La casta…
IRRRSC: no, quello è un libro di parte…
GPZ: ma se quando hai letto La casta hai detto che era un bravo giornalista…
IRRRSC: eh, ma uno deve avere spirito critico, deve saper distinguere un lavoro ben fatto da uno strumentale, anche se li ha fatti la stessa persona…
GPZ: no, scusa, ma come fai a dire che è di parte se non l’hai letto?
IRRRSC: non ci vuole molto a immaginarselo…

Movimento 7 - incomunicabilità
GPZ: .............
IRRRSC: ..........
GPZ: .............
IRRRSC: ..........

Movimento 8 - armistizio
GPZ: ti va un caffè?
IRRRSC: sì, dai, andiamo a fare due passi, che è meglio.

Movimento 9 - sconforto
GPZ (tra sé e sé): ma che cosa dovrebbero fare le persone razionali per far ragionare questi invasati? E soprattutto: ma quanti sono in Italia, oggi, a (non) ragionare come questa qui?

giovedì 17 luglio 2008

Wish you were here

Sei già lontano due anni, laggiù dove ti sei fermato. Siamo in tanti a desiderare che tu fossi qui... Questa proprio non ce la dovevi fare, non credo che te la potrò mai perdonare.



L'anno scorso ti regalai un'ascesa faticosa e una fila di bandierine di preghiera prese per te in Ladakh, quest'anno le scalate mi sono precluse, e ho trovato quest'altro modo per ricordarti.



Addio, amico.

Questioni di omogeneità

di Cristiana Capagni
La Voce Democratica – 3/17 luglio 2008

Poniamo il caso che abbiate una casa con il terrazzo. Un terrazzo ampio e molto bello, che avete però arredato in modo disomogeneo: un lato è desolatamente vuoto, mentre gli altri lati sono eccessivamente gremiti di vasi con piante, arredi da esterni in ferro battuto, magari anche un dondolo. Un vostro amico architetto un giorno vi viene a trovare e vi mette in guardia dal pericolo che il peso eccessivo rappresenta: vi dice che il terrazzo potrebbe avere dei cedimenti strutturali dalla parte dove avete accumulato troppi oggetti pesanti.
Cosa fareste? E’ logico supporre che spostereste alcuni degli arredi o dei vasi più pesanti sul lato rimasto vuoto, così da distribuire il peso, che ora grava concentrato su pochi punti, su di una superficie più ampia.
E cosa pensereste di una persona che al vostro posto lasci il peso gravare sugli stessi punti ed in più aggiunga altri vasi stracolmi di terra e piante ed un tavolo in ferro e terracotta e delle seggiole pesanti e magari anche un ombrellone sul lato rimasto vuoto?
Se nella rappresentazione succitata sostituiamo alcuni elementi con altri e poniamo gli stessi interrogativi, si presume che delle risposte sensate non dovrebbero discostarsi troppo da quelle già date.
Sostituiamo quindi l’ambiente terrazzo con il pianeta Terra; i vasi, le piante e gli arredi con la popolazione mondiale; il lato vuoto sarà infine il nostro Paese: questa Italia che i demografi considerano sconsolatamente vuota.
E domandiamoci: che senso ha pianificare un incremento considerevole della popolazione italiana, che ci dicono essere in calo, quando il Pianeta contiene già ora più di sei miliardi di individui i quali, è bene ricordarlo, per la maggior parte non hanno accesso a cibo e ad acqua potabile in misura sufficiente?
E quando – come la coscienza ci impone – saremo riusciti a risolvere positivamente le disuguaglianze fra Primo e Terzo Mondo e quindi tutti i sei miliardi di abitanti potranno a giusta ragione bere, mangiare, lavarsi, vestirsi, rinfrescarsi e riscaldarsi ed andare in giro in auto e dunque peseranno non più quanto sei ma almeno quanto dieci o dodici miliardi di individui, cosa accadrà?
Le campagne per l’incremento demografico che tentano di convincerci che servono giovani che paghino le pensioni degli anziani appaiono il frutto di una mentalità vecchia di decenni e che non ha più riscontri nella realtà. Ci dicono che oggi i giovani sono pochi. Ebbene, di quei pochi, sono in gran numero i disoccupati o precari senza futuro.
Siamo così certi che se aumentassero di numero i giovani (disoccupati e precari), essi contribuirebbero a risanare il nostro disastrato sistema pensionistico?
Che sia così oppure no, la logica ci impone di distribuire al pari dei vasi e degli arredi da terrazzo gli esseri umani affinché non vi siano vuoti da colmare da un lato e pericolosissimi sovraffollamenti altrove. Se il terrazzo crolla, non c’è lato che si salvi.

martedì 15 luglio 2008

Il commissario (eroico?) e il suo boia

Molti, a destra e a sinistra, hanno spesso sostenuto che esista in Italia una specie di mafia - nella migliore delle ipotesi una lobby - costituita dagli ex di lotta Continua.
La storia di quell'associazione è indubbiamente torbida, ancora oggi si stringono come un sol uomo a difesa di chiunque di loro venga chiamato in causa in qualsivoglia contesto, indipendentemente dal fatto che siano rimasti a ululare alla luna a sinistra o che siano diventati top manager in qualche azienda di stato o che si siano messi il doppiopetto blu o addirittura la camicia verde. E certamente uno come Sofri ha ben altro da addossarsi, che la sola responsabilità politica della fine del commissario Calabresi, come va ripetendo da parecchi decenni. Detto questo, e con tutta la simpatia umana per il figlio Mario (di cui ho iniziato a leggere il libro, che mi pare sincero e ben scritto), non riesco a considerare il commissario un eroe. Pinelli, che lui aveva fermato, dalla finestra ci è caduto davvero, e la storia del "malore attivo" con cui si concluse l’inchiesta fa ridere i polli. Testimonianze, sempre di chi c'era, permettono di capire che i rapporti tra i due fossero ottimi, al punto da frequentare lo stesso cineforum ed essersi addirittura scambiati doni, in qualche occasione; questo porterebbe a escludere un ruolo attivo del commissario nella tragedia, ma... se è giusto addossare a molti (tutti quelli di LC che quel giorno non c'erano, o non sapevano per davvero) responsabilità politiche per la morte del commissario, la stessa logica e la coerenza impongono di addossare al commissario la responsabilità (anche penale, se l'atto vigliacco è stato compiuto da un suo collaboratore) del "malore attivo" di quel poveraccio. Se qualcuno che fa parte di una squadra si permette di accoppare una persona e il suo capo lo copre invece di denunciarlo, per me quel capo non è un eroe. Nemmeno un criminale, probabilmente: è un uomo, con tutte le sue debolezze; un uomo giovane (morì a 34 anni, un'età alla quale, oggi, gli uomini li chiamiamo ancora "ragazzi", errore esiziale). Ricopriva un ruolo e aveva una responsabilità che, in tempi duri come quelli, non erano davvero un fardello facile da portare; è comprensibile, non giustificabile, che abbia omesso di fare luce. E per questo non mi sono mai permesso di giudicarlo, ma mi guardo anche bene dall'approvarlo. Capisco poi che tra colleghi determinati a vendicarlo e interessi inconfessabili di apparati dello stato si sia imbastito un processo pasticciato con lo scopo non di mettere i colpevoli con le spalle al muro, ma di incastrare quelli che si riteneva a priori essere i colpevoli. Di cui probabilmente qualcuno lo è davvero, ma certo con trovate geniali del tipo "il testimone riferisce di aver visto di spalle una donna guidare, e questo è compatibile con il fatto che l'autista fosse Marino, i cui folti baffi possono facilmente essere scambiati per una chioma femminile"; oppure "l'abilità alla guida" di quello dei tre che abitava a Lucca e non ricordo chi fosse, e che aveva fior di testimoni (tra cui un vigile urbano) che erano sicuri di averci parlato proprio a Lucca, in un bar, poco più di un'ora dopo il fattaccio, manco avesse avuto la batmobile... Certo, in questo pastrocchio ogni speranza di arrivare alla verità vera è naufragata da parecchi decenni. Insomma, credo che il buon Adriano dovrebbe trovare meno spazio sui giornali e avere il buon gusto di imporsi precetti di riservatezza, date le nubi che si addensano sul suo passato. Però non credo che allora, come anche oggi, le ragioni fossero tutte da una parte sola. Anzi, secondo me di ragioni proprio non ce n'erano, c'erano solo torti, come sempre avviene quando la gente muore, e questi - come i morti - mi sembrano piuttosto ben distribuiti tra tutte le parti in causa. Il che non vuol dire che non si debba, ancora oggi, cercare la verità. Non che nutra qualche speranza che alla fine salti fuori, ma certe cose vanno fatte comunque, anche se di speranza non ce n'è più.

lunedì 14 luglio 2008

Il nome della cosa


La costituzione di un paese democratico è quel corpo di regole che in quel paese tutti condividono, indipendentemente dall'essere di destra o di sinistra, pezzenti o straricchi, etero o gay, ecc.
Quella che chiamiamo costituzione materiale è un corpo di regole non scritte, che di fatto però vengono comunque osservate e condivise.
Berlusconi che esplode subito dopo l'arresto di un presidente di regione eletto nelle file dell'opposizione sta finalmente portando allo scoperto una nuova costituzione materiale, del tutto opposta a quella una volta vigente; una costituzione secondo cui non importa che chi governa sia di destra o di sinistra: importa che, in quanto governante, quella persona è intoccabile; e infatti non si è preoccupato di conoscere i fatti per esprimere la sua condanna a quella che è per lui l’ennesima aggressione della magistratura alla politica, perché l’unico fatto che ritiene rilevante è che un politico è stato arrestato e questo non può essere legittimo, qualunque cosa quel politico abbia fatto. Appena qualche anno fa lo stesso Berlusconi si sarebbe rallegrato, perché quel politico milita nello schieramento avverso; oggi no, perché il nemico non è più l’opposizione, dispersa e ridotta all’afasia: il nemico sono gli altri poteri dello Stato, gli unici che ancora possono opporsi alla sua ascesa verso un potere che sempre più svela il suo volto assolutistico. E se la nuova costituzione materiale – ormai, mi pare, largamente accettata e condivisa dagli italiani – contrasta e stride con quel pezzo di carta che fu scritto nel quarantotto, non c’è problema: il pezzo di carta verrà stracciato e ne verrà scritto un altro.
E’ regime? Non lo so, se la parola non vi piace chiamatelo Pippo…

domenica 13 luglio 2008

Un'ospite molto gradita

Quello che trovate sotto è un articolo scritto dalla mia amica Cristiana per La Voce Democratica, quindicinale romano che ha anche un proprio sito web (http://www.lavocedemocratica.it/). Quello che scrive Cristiana non solo lo condivido, ma mi dà alcuni spunti che cercherò di sviluppare nei prossimi giorni. Spero che anche in futuro Cristiana continuerà a mandarmi materiali prodotti da lei: per incastrarla, le appiccico subito un'etichetta (Sostiene Cristiana: pretenziosissima, ma se non ci sbrodoliamo un po' tra noi...)
Buona lettura!

Quale energia?

di Cristiana Capagni
pubblicato da La Voce Democratica – 14 febbraio 2008


Vengono i brividi, nonostante sia uno degli argomenti caldi del momento. Vengono i brividi a risentir parlare di energia nucleare, soprattutto per ciò che viene detto. Come è possibile che scienziati di altissimo livello la definiscano “energia pulita”? Dal momento che lo sanno anche i sassi che le centrali nucleari producono - insieme con l’energia - anche scarti radioattivi che non si sa dove mettere, è evidente che l’energia nucleare pulita non è. Non si sa dove metterli, tranne naturalmente chiuderli in bidoni che vengono sotterrati per lo più in quella che è diventata la pattumiera dell’Occidente: l’Africa, ma non solo, poiché ne abbiamo anche sotto casa. Basterebbe forse questo argomento per lasciar perdere futuri sviluppi. Ma vogliamo invece dire di più, ricordando che alcuni altri Paesi, i quali nel corso degli anni hanno fatto ricorso all’energia nucleare come ad esempio l’Inghilterra, stanno facendo pian piano marcia indietro. E si orientano verso fonti di energia rinnovabile, come molti Paesi del Nord Europa, i quali non possono vantare un’esposizione solare al pari dell’Italia eppure ricavano una discreta percentuale del loro fabbisogno d’energia proprio attraverso impianti fotovoltaici.
Non ci sembra neppure sostenibile la tesi secondo la quale l’Italia compera l’energia prodotta appena oltre confine (Francia, per esempio) dove, se accadesse una fuga radioattiva, sarebbe come se accadesse entro i patri confini e quindi tanto vale produrla direttamente da noi. Non ci risulta infatti che oltre confine abbiano problemi di organizzazioni criminali che gestiscono i rifiuti… vogliamo immaginarci la stessa (dis)organizzazione attualmente vigente nella nostra Campania in fatto di cassonetti e discariche, riprodotta su una centrale nucleare, una sola? Non basterebbe emigrare a mille chilometri di distanza… si pensi a Chernobyl.
Già, Chernobyl, Kiev, Ucraina. Tanti chilometri in su, tanti anni fa. Eppure nonostante gli italiani abbiano una pessima memoria storica, dovrebbero ricordarselo, almeno quelli che c’erano. Noi c’eravamo, allora. E ricordiamo bene i supermercati presi d’assalto a seguito della raccomandazione da parte delle autorità di non consumare vegetali freschi né latte: la gente si accaparrò tutte le provviste conservate o surgelate disponibili per alimentarsi con cibo evidentemente preparato tempo addietro e dunque non contaminato direttamente dalle radiazioni. Per giorni tra gli scaffali desolatamente vuoti dei supermercati non si trovava più quasi nulla da mangiare. Ma poi comunque, finite le scorte, che il cibo sia contaminato o no, mangiare si deve…
Ricordiamo bene anche la raccomandazione di non restare esposti all’aria aperta, soprattutto i bambini. Era aprile, ma non si poteva portarli al parco, no, meglio chiusi in casa.
Ricordiamo purtroppo anche le immagini dei piccoli innocenti “mostri” nati lassù (e non tutti deceduti) negli anni che seguirono. E non abbiamo dimenticato la maggiore incidenza di tumori e disfunzioni alla tiroide, anche qui da noi, così geograficamente lontani. Siamo sicuri di voler correre questo rischio? In nome di cosa? Dell’opportunità di girare un interruttore e lasciarci investire in piena estate da un getto d’aria gelida senza la quale le generazioni che ci hanno preceduti hanno vissuto benissimo…. Perché questo è il punto: fare marcia indietro, se non impossibile, è certamente difficile; è opportuno sviluppare le risorse di energia rinnovabile ed essenziale sostenere la ricerca in questo senso, ma in ogni caso limitare i consumi - oltre ad essere moralmente doveroso - è necessario alla sopravvivenza.

venerdì 11 luglio 2008

Assassini!

Voglio scrivere un post banale.
Del resto, perché si deve essere originali per forza? Ci sono cose che sono state dette all’infinito, ma vanno ridette, perché tanto nessuno provvede a risolverle.
Parliamo, per esempio, della tanto dibattuta pillola del giorno dopo, la RU 46. Che in Italia la sua distribuzione sfiori la clandestinità per compiacere una cricca di sessuofobi vestiti di nero è uno scandalo che ormai non scandalizza più nessuno, perché il popolo sovrano si è definitivamente rincoglionito davanti alla TV; hai voglia di strillare che è un tuo diritto, che nessuna legge consente l’obiezione ai farmacisti: tanto nessuno li punisce quando obiettano, e in alcune regioni (Veneto, Liguria e altre) è diventata impossibile anche l’interruzione di gravidanza ospedaliera, dato che non si trova più un ginecologo che non sia obiettore – almeno quando presta pubblico servizio, perché poi molti nelle cliniche private gli aborti li fanno, eccome.
Tutto perché qui in Italia - più o meno come in Messico, dove la legge sull’aborto l’hanno approvata soltanto qualche mese fa tra le alte strida dei prelati di quel paese – a fare le leggi ormai non è più il parlamento, ma i preti; che non sentono ragioni quando gli si spiega che tu l’aborto lo puoi anche vietare, ma tanto continuerà ad esistere e anzi sarà più pernicioso, perché riconsegneremo le nostre donne alle arti delle mammane, che non poche ne hanno sterminate prima del 1978.
Il pensiero che c’è dietro questa incontenibile voglia di divieto dei preti è chiaro a tutti, se lo dicono infinite volte infinite persone in infinite chiacchierate e discussioni, eppure nessun giornale lo scrive, nessuna televisione lo dice: i preti pensano che una donna che abortisce merita la morte, né più né meno di questo.
Per cui chissenefrega se una mammana la squarterà: sarà nient’altro che la giusta punizione per il suo delitto.
Questo blog ha un solo lettore che è lo stesso che lo scrive, per cui penso che non offenderò nessuno chiamandoli assassini e macellai, a cominciare dal pastore tedesco e da sua eminence; e comunque se capita per sbaglio quanlcun altro e si offende il problema è solo suo, si trovi un percorso in rete più confacente alle sue deficienze mentali.
Un’ultima cosa: smettiamo di rappresentarci il mito consolatorio della solidarietà tra donne, della sorellanza e della trasversalità di certi valori all’interno dell’universo femminile. Sono tutte palle, accanto a un gran numero di donne in gambissima ne conosco un botto che sono, se non complici, quanto meno disinteressate a questi temi e ai diritti delle altre; fanno parte di quell’orda immensa di femmine che, una volta felicemente accasate e riprodottesi, eleggono la famiglia non a valore, ma a esperienza mistica, a orizzonte unico nel quale asserragliarsi contro le brutture del mondo. E se gli si fa osservare che qualche anno fa, magari, hanno diversamente pensato e addirittura diversamente praticato, è sempre pronto un cattolicissimo pentimento a salvare la coerenza: errore di gioventù…

domenica 6 luglio 2008

Parricidi

Dice Kant che dimostrare l’esistenza di Dio non è possibile, ma di Dio non si può fare a meno, perché è un’idea necessaria dell’uomo.
Ho sempre trovato meravigliosa questa considerazione, e credo che si possa usare lo stesso metro per capire come l’umanità abbia sempre avuto bisogno di eroi; molti ritengono che questo sia un tratto estremamente negativo, e probabilmente hanno ragione: l’eroe rimanda sempre a una visione disuguale e asimmetrica, in cui l’uomo e la donna comuni non hanno capacità sufficienti a cavarsi da soli d’impaccio, e quindi deve intervenire l’eroe, l’uccisore di draghi, l’Uomo della Provvidenza. Che poi, se andassimo a vedere nel dettaglio quello che hanno combinato in termini di massacri i vari uomini della provvidenza, da Alessandro magno al pelato mascellluto di casa nostra passando per Napoleon, non ci resterebbe altro da fare che dare ragione a quello che esclamò “sfortunato quel popolo che ha bisogno di eroi!”; lui magari intendeva un’altra cosa, ma io ci aggiungerei che quel popolo non solo ha avuto una sfiga tale da doversi trovare un eroe per venirne a capo, ma a quella se ne è poi aggiunta un’altra, che è proprio l’eroe, figura ingombrante che di solito non scompare dopo aver pestato i cattivi, e anzi finisce per trasformarsi in una calamità peggiore della sfiga che lo ha reso necessario.
Detto questo, riconosco che l’umanità che non ha bisogno di eroi è molto di là da venire, e che essa presupporrebbe una responsabilizzazione dei singoli individui così radicale da diventare utopica, e quindi pericolosa, come la Storia ha purtroppo dimostrato essere quasi tutte le utopie radicali.
A questa umanità bambina anche quando è decrepita e che ha bisogno di un Padre, le democrazie borghesi hanno apparecchiato per un paio di secoli una bella favola con buoni e cattivi, dove tra i cattivi troviamo ovviamente Hitler, i sudisti che volevano perpetuare la schiavitù dei neri, i comunisti mangiabambini e diverse altre figure caricaturali. Tra i buoni, ovviamente, padri fondatori del calibro di Gorge Washington e Abramo Lincoln, o il presidente Franklin Delano Roosevelt, dall’altra parte dell’Atlantico; Giuseppe Mazzini, Garibaldi, Winston Churchill sulle nostre sponde. Sul palcoscenico del resto del mondo non sembra si siano esibiti attori tali da meritare il titolo di eroe, con qualche meritevole eccezione, tipo Gandhi, Mandela e pochi altri.
E’ ovvio che si tratta di una rappresentazione polarizzata ed edulcorata della realtà, che non regge ad un’analisi storica non dico approfondita, ma semplicemente seria e onesta; e tuttavia, essendo di tale analisi del tutto incapace la quasi totalità dei cittadini del mondo, e in particolare dell’Occidente, che preferiscono rappresentazioni mitiche ed eroiche in cui potersi ammantare di cappe immacolate, è una rappresentazione che ha quanto meno il pregio di indicare dei modelli fondamentalmente positivi, nel senso che erge al rango di Padri personaggi che, bene o male, qualche cosa per migliorare il mondo che hanno trovato l’hanno anche fatta; spesso del tutto involontariamente, nell’atto di perseguire i propri interessi, questo sì, ma comunque l’hanno fatta.
Poi, chi vuole uscire dalla caverna di Platone e liberarsi dei falsi miti, può incamminarsi su una strada impervia e solitaria battuta finora da poche intelligenze intrepide, come Keynes per esempio, e raggiungere quella consapevolezza che non è distacco, e però consente un giudizio più obiettivo, benché sofferto, sulle debolezze dei Padri e sulle ragioni del Nemico, che spesso qualcuna ne aveva, o più di una; ma farà bene a tenere per sé quello che apprenderà, in un mondo che non ne vuole sapere di misurarsi con la propria stessa costituzionale complessità.
Ora, però, vedo la favola della democrazia messa sotto accusa non da persone che hanno stracciato il velo della retorica per guardare meglio quello che c’è sotto, ma piuttosto da fanatici che alla democrazia vorrebbero sostituire qualcos’altro, e non qualcosa di nuovo, ma orrori già visti: identità nazionali definite con nient’altro che la contrapposizione ad altri popoli (ovviamente più poveri e fragili), la chiamata alle armi in nome di valori che sono in realtà beceri interessi di parte, la demolizione di qualsiasi coscienza civile condivisa a tutto vantaggio di un individualismo che, praticato da un gregge di persone inconsapevoli e stolide (pecore anarchiche, diceva Montanelli), può produrre solo conformismo e obbedienza a suonatori di piffero. Vedo anche la demolizione delle statue dei Padri: si critica Roosevelt, e addirittura quel suo New Deal che pure portò l’America e il mondo fuori dalla tremenda recessione innescatasi con la crisi del 1929 e addebitabile certo alla mancanza di regole, e non all’eccesso di regolamentazione dei mercati; in nome dell’ideologia mercatista e dei furori animali, questi fatti incontrovertibili vengono sovvertiti e si dà addosso a chi si è reso colpevole di leso mercato, cercando di imbrigliare la belva.
Su Garibaldi e Mazzini stendiamo un velo pietoso, visto che abbiamo al governo gente che si vanta di fare un uso certo igienico, ma molto poco ortodosso della bandiera per cui lottarono tanto; e Garibaldi è già stato derubricato da molti a guitto dei due mondi, avventuriero senza scrupoli e con poco sale in zucca.
Meglio tacere anche dei revisionisti all’amatriciana che equiparano Salò alla Resistenza, in attesa di poter finalmente affermare che i Giusti erano quelli che stavano in riga al Garda, e non chi combattè con gli alleati.
Ci sarebbero decine di altri esempi, ma per arrivare alle logiche conclusioni del discorso questi bastano e avanzano: una furia cieca sta travolgendo le nostre società; è immemore e bestiale, ha il senso critico di uno tsunami, di un terremoto, e come un cataclisma naturale avanza devastando quanto incontra, senza discernere: valori faticosamente costruiti e un tempo condivisi, come l’onestà, la voglia di lavorare e sacrificarsi per un obiettivo comune, la solidarietà, l’umana pietà; delicate architetture democratiche fatte di poteri e contropoteri a bilanciamento, il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario messi l’uno a guardia dell’altro e ora investiti dalla piena della ‘gnoranza montante, cieca sbuffante e obnubilata, che mai capirà la complessità di questo equilibrio e quindi, semplicemente, lo travolgerà, a tutto vantaggio del pifferaio di cui sopra.
Insomma: tutti i capisaldi, i baluardi che i nostri padri - magari con la p minuscola, ma certo resi saggi dalle sofferenze -, avevano eretto per difendere le nostre società da noi stessi e dalla nostra furia belluina, stanno crollando, uno dopo l’altro, nell’indifferenza generale e tra qualche applauso, come di chi veda finalmente demolire una selva di monumenti antichissimi e ingombranti a divinità tanto remote da essersi definitivamente perduta ogni eco della fede in loro. E’ così, mi pare, che “la ggente” sta assistendo alla devastazione della nostra storia condivisa in nome del diritto inalienabile a non avere rotture di coglioni, meno che mai di tipo etico o, peggio, intellettuale. La colpa, certo, è della “ggente”, presi uno per uno, quali singoli individui che non possono non essere responsabili delle proprie azioni; ma prima ancora, chi è che ha lasciato marcire la pianta preziosa che avrebbe dovuto invece accudire amorevolmente, e cioè quel germe di civiltà che, ad un certo punto della nostra storia, sembrava finalmente sul punto di sbocciare ed è invece appassito, forse per sempre? Chi è che ha soffocato tutte le voci non intonate, per mettere bene in chiaro che c’è un solo modo di stare al mondo, e non è quello di chi vorrebbe anteporre i valori umani e i diritti delle persone a quelli dei pochi e dei pifferai? Come Pasolini, siamo in tanti a sapere; a differenza di Pasolini, noi ormai abbiamo anche le prove. Solo che non servono più a niente, perché l’uccisione in culla di una società civile non è più considerata reato da tanto, ormai; e, ad esibirle, rischieremmo più che altro di essere accusati di disturbo della quiete pubblica. Anche stavolta: buona apocalisse a tutti!

giovedì 3 luglio 2008

Un angelo con la penna in mano

Non mi piace dare pareri su libri che non ho ancora finito di leggere, ma questa volta mi tocca fare un'eccezione.
A dire la verità, Lo smeraldo dei garamanti - ricordi di un sahariano, di Theodore Monod, non non solo non l'ho ancora finito, ma avrò letto sì e no un centinaio di pagine, con una certa fatica oltretutto.
E allora?
Allora c'è che la fatica è colpa solo della mia ignoranza, perché il libro è un dono del cielo.
L'autore, prematuramente scomparso nel 2000 a 98 anni (certe persone dovrebbero stare tra noi per sempre!), è stato uno degli ultimi intellettuali di formazione ottocentesca, una di quelle persone allevate al senso del bello fin dalla più tenera età, e in possesso di una erudizione enciclopedica. A questo aggiungete uno spirito cristallino come una sorgente di alta montagna, e avrete un uomo letteralmente baciato dalla grazia. Naturalista per vocazione, umanista nel profondo, antimilitarista embedded nell'esercito francese al seguito del quale compiva le sue esplorazioni (era l'unico modo), Monod ha percorso in lungo e in largo il Sahara a dorso di cammello, dagli anni trenta fino ai novanta, portandosi sempre dietro una Bibbia e uno Shakespeare, oltre a qualche cassa di libri di botanica.
Il libro è disorganico, si tratta semplicemente di una raccolta dei suoi pensieri, delle sue fantasticherie e dei suoi disegni; ma che grazia insuperabile traspare da ogni riga, da ogni schizzo! Il periodare sembra cesellato, tanto è sempre appropriata la scelta delle parole, molte delle quali per noi desuete (di qui la fatica della lettura); un linguaggio ricchissimo pienamente sviluppato, al confronto del quale il nostro è monco, come sono monco e sgraziato io, adesso, mentre tento di rendere questa meraviglia con un vocabolario e una tecnica di scrittura che non valgono la prima elementare di quella generazione perduta di intellettuali enciclopedici.
E l'entusiasmo, la meraviglia di fronte alla natura; se ne può quasi sentire il profumo, come fosse una fragranza che si diffonde nell'aria mentre lo leggi. Ogni pagina gronda stupore e gratitudine per il creato, ciò che la maggior parte di noi perde non appena toglie i calzoni corti, e che questo signore si è portato dietro fin quasi a cent'anni (ma erano pochi, magari vivesse ancora, un uomo così). E c'è di più: c'è la fede, ma una fede che nemmeno per un attimo entra in conflitto con il rigore dello scienziato che Monod, pure, era. Ce ne fossero ancora oggi, di intellettuali così, la diatriba tra fede e ragione non sarebbe mai caduta in basso come è caduta, ridotta a disputa ringhiosa tra atei devoti e atei militanti. Probabilmente non sarebbe neppure stata riproposta: non chiedetemi come sia possibile, ma Monod é naturalmente scienziato e naturalmente religioso. E non emerge nessuna contraddizione da questa doppia valenza, anzi: le due dimensioni diventano una sola, si arricchiscono a vicenda.
Insomma: leggetelo. Magari armatevi di vocabolario, ma leggetelo.

mercoledì 2 luglio 2008

Appocundria

Era una vecchia canzone di Pino Daniele e da un po' di tempo me la andavo fischiettando; più o meno da cinque-sei mesi, quelli che sono trascorsi dal primo apparire della mia ipocondria. Che non è un bella modalità di esistere; mi dicono che sia abbastanza diffusa tra gli uomini di pelo grigio (come è il vostro Gattopuzzo), e di fatto ti rovina un bel po' di giornate: oddio che è questo dolorino, e come mai faccio le scale e ho il fiato grosso, ecc.
Come avrete capito, il Gattopuzzo è tutt'altro che vecchio (quello mai, manco a ottant'anni), ma non è più nemmeno un virgulto, e da quando se ne è reso conto ha perso la presunzione di immortalità, che certamente rientrava nella categoria delirium omnipotentiae, ma era comunque un modo comodo di stare al mondo.
E quindi, tra un po' di autoironia (poca) e qualche momento di profonda depressione (non tanto raro quanto avrebbe voluto), il Gattopuzzo si avviava a fare i conti con la sua età anagrafica, che non gli consente più di autodefinirsi ragazzo a meno di non voler causare irrefreneabile ilarità nell'interlocutore.
Per cui, quando ha avvertito una fitta al petto, secondo voi cosa ha pensato il Gattopuzzo? Ovviamente, alla falce della Signora; e poi, però, fischiettando "Appocundria", ha pensato che la sua nevrosi stava passando il segno. Il bello di tutto ciò è che, grazie all'ipocondria, non ha avuto modo di spaventarsi; il brutto è stato che le coronarie non avevano mai sentito parlare di ipocondria, e reclamavano il loro diritto a stare male per davvero. Sicché, al perdurare del sintomo (che secondo il GPZ era ancora immaginario), ho cominciato a fischiettare "Curre curre guagliò", che adesso non mi ricordo chi la cantava ma certo stava diventando più appropriata alla situazione dell'Appocundria di prima; e curre curre, fino all'ospedale, dove mi hanno detto "Appocundria 'na sega" e mi hanno impedito l'estinzione (ricordate, no, che il GPZ è esemplare unico della specie) non per me, ma perché i dottori sono tutti iscritti al WWF e amano tanto gli animali rari.
Insomma: angioplastica, una settimana di ricovero, infarto sfiorato e però GPZ rimesso del tutto a nuovo.
E al telefono la mia amica che mi fa: ma te lo ricordi, a vent'anni, quando ci sfondavamo tutte le notti e ridevamo e dicevamo "ma chi ch'ammazza a noi?" e tu rispondevi sempre "er colesterolo a quarant'anni"? Già...