venerdì 31 luglio 2009

Luglio, again


Mario aveva un nome semplice e non era una persona banale. L’ho conosciuto poco, come si conoscono poco i familiari degli amici: il fratello più piccolo di un’amica lo conosci che tu sei adoloscente e lui ha dodici anni e poi lo vedi una, due volte l’anno fino a che ne ha più di trenta, non lo conosci ma lo hai visto crescere, mentre crescevi anche tu. Ciao Mario, come stai? E una battuta, una chiacchierata di pochi minuti, poi lui via, deve scappare, ha un impegno oppure ce l’hai tu, e del resto non sei andato a trovare lui ma sua sorella, l’amica: Mario ogni tanto pensi che sarebbe bello conoscerlo meglio, frequentarlo, con quel suo carattere franco e aperto, sempre di buon umore senza essere chiassoso: una persona luminosa. Ma non hai tempo tu, non ce l’ha lui, la vita ha scelto per noi percorsi paralleli che ogni tanto si incrociano, e niente più.
Mario ha centrato in pieno un paletto del guard rail, con la sua moto. Dieci centimetri a destra o a sinistra o sopra o sotto e non sarebbe successo niente, ma invece quei dieci centimetri non si sono spostati da nessuna parte. Non si è rotto niente Mario, è intatto perfino il cellulare: solo la sua testa è devastata. E ci ha messo un mese e mezzo a volare via, mentre intorno a lui apparecchiature ostinate gli ronzavano nelle orecchie una sinistra canzone che non poteva più ascoltare. Adesso Mario è andato, e anche questo luglio ha avuto il suo tributo. Lo salutiamo con alcuni versi di una vecchia, bellissima canzone di Iannacci che non pare scritta per lui, se non in certe parti. Ma quelle sono veramente belle: sono per te, Mario.

chi lo sa forse è giusto, forse è sbagliato
forse sarà destino
Mario, non ti resta che ascoltare
Mario, non c'è più la tua canzone
Mario, dicevi adesso io vado
ad aprire l'ultima porta
Mario, dicevi adesso io vado via
forse per l'ultima volta
dicevi adesso io vado, io vado
a dissolvermi in cometa,
quanto basta per non sentire più
il ritmo strano della vita […]
Mario, non ti resta che ascoltare
l'eco che hanno messo nel finale

mercoledì 29 luglio 2009

La scuola nuova

Ormai è sicuro: il prossimo ministro dell’Istruzione sarà Fiorello, con Max Giusti e Teo Teocoli come sottosegretari. Il primo con delega alle aree rurali, il secondo al gergo da curva sud, assurto agli onori di lingua nazionale grazie all’efficace pressing di politici di nuova leva come il già candidato sindaco a Firenze Giovanni Galli e di sempreverdi come l’onorevole Matteo Salvini. Quest’ultimo vorrebbe peraltro ampliare lo spettro delle nuove materie di insegnamento, inserendo nei programmi obbligatori del ministero i coretti da stadio e gli sfottò tra tifosi, espressione genuina delle nuove forme di comunicazione ampiamente sperimentate dai giovani e ingiustamente trascurate da una scuola paludata e troppo attaccata al proprio vuoto ritualismo linguistico.
La svolta si deve a Roberto Calderoli, che invocando l’esame in dialetto locale per gli aspiranti professori in trasferta ha sollevato – probabilmente senza volerlo – un caso ben più grande di lui (alcuni commentatori hanno notato che non ci vuole molto, a onor del vero).
Una volta accettato il principio, infatti, non c’è voluto molto per trarne le conseguenze: se un professore di Barletta che vuole insegnare a Belluno deve saper parlare il dialetto di quella zona, quanti dialetti dovrebbe saper parlare un dirigente scolastico regionale? E soprattutto, quanti ne dovrà parlare il ministro?
La logica ferrea che - come è giusto - governa implacabilmente le scelte delle nostre istituzioni non ha lasciato scampo: gli unici candidati veramente autorevoli per un incarico di questa delicatezza sono gli imitatori. E neanche tutti: a fronte dell’evidente improvvisa carenza di personale dirigenziale scolastico seguita all’adozione dei nuovi criteri di selezione, hanno provato in molti ad avanzare la propria candidatura, ovviamente subito respinta dalle inflessibili commissioni selezionatrici. Tra le vittime più illustri Fabio Fazio, che proditoriamente si era proposto come viceministro in virtù dei suoi lontani esordi nel mondo dello spettacolo e di una datatissima imitazione di mike Bongiorno; al popolare presentatore è stato fatto osservare che competenze di quel genere potevano al massimo tornargli utili per candidarsi a preside del liceo italo-americano, incarico per il quale erano però scaduti i termini di presentazione della domanda; avendo contestualmente ricevuto notifica della chiusura di Rai Tre per inosservanza linguistica (pare che in molti dei suoi personaggi di punta si sia riscontrata una eccessiva inclinazione alla calata vetero-sovietica, benché latente e non rilevabile a orecchio nudo), Fazio risulta ad oggi disoccupato. Stessa sorte per Neri Marcorè e Corrado Guzzanti, nonostante l’indiscutibile talento.
Non mancano, comunque, le sorprese e i ritorni: tra i nuovi provveditori agli studi troviamo il mitico Bagaglino al completo, da Gianfranco d’Angelo a Martufello passando per Aída Yéspica (che non parla dialetti ma ha un body language giudicato transanazionale quanto l’esperanto: per unanime decisione del consiglio dei ministri, sovrintenderà all’insegnamento nelle scuole tecniche professionali a prevalente presenza maschile, come quella per tornitore in fabbrichètta); una menzione speciale per Leo Gullotta, comunista e gay, e quindi candidato di bandiera in nome del pluralismo e della tolleranza. Nei ranghi più bassi della gerarchia spopolano applauditissime compagnie di giro, che mai avrebbero immaginato una simile – meritatissima, aggiungiamo noi - opportunità di diversificazione del loro core business: approdano alla dirigenza scolastica nei più prestigiosi licei della penisola mostri sacri del poliglottismo italico come Max Tortora, ma anche artisti della comunicazione dal talento cristallino come I Fichi d’India, che non parlano alcun dialetto ma hanno la rara abilità di infiltrare i loro motti di spirito nel linguaggio giovanile di tutte le regioni della penisola, raggiungendo l’obiettivo della parlata dialettale mediante il percorso inverso: sono i dialetti e i gerghi di branco a conformarsi alla loro lingua.
E mentre, in nome della meritocrazia, la discussione istituzionale verte ora sulla composizione delle commissioni e sui criteri di selezione da adottare in futuro (Salsomaggiore? Sanremo?), duole rilevare che c’è almeno un’ombra a oscurare la nitidezza cristallina di questo attesissimo provvedimento: è ancora incerto il ruolo di Pippo Franco. Impossibile nominarlo ministro, come il curriculum avrebbe voluto, per oggettiva scarsa capacità di calarsi in dialetti diversi dal suo, è però vero che l’uomo è uno dei padri nobili del filone culturale d’appartenenza dei neodirigenti scolastici; sembra quindi poco equo il proposito del presidente del consiglio, che intenderebbe affidargli una cabina di regia, manco fosse un Miccichè qualsiasi.
Sarebbe ancora lungo l’elenco dei candidati e dei prescelti, ma lo spazio tiranno ci impedisce di dare a tutti loro il giusto lustro; in chiusura, però, ci sia consentito di rendere il dovuto omaggio a quei grandi personaggi che purtroppo non sono più tra noi, e che una concezione elitaria e snobistica della cultura ha sempre escluso dai ruoli di responsabilità a cui avrebbero avuto pieno titolo di accedere: non facciamo nomi, tanto l’elenco sarebbe lungo, ma una riflessione è d’obbligo: che meravigliosi ministri sarebbero stati un Alighiero Noschese, un Gigi Sabani, ma anche l’indimenticato Franco Lechner, il grande Bombolo: l’onesto faticatore dello spettacolo Calderoli continua indefessamente ad imitarli, ma si sa che far ridere è sempre stato più difficile che far piangere. Che a sua volta è più difficile del far incazzare. Che è l’unica cosa che lui sa fare.

domenica 19 luglio 2009

Luglio

Ve l’avevo già raccontato, che i gattopuzzi hanno – come tutti – un corpo astrale che a volte prende iniziative un po’ troppo autonome.
Stanotte è successo di nuovo, ed era tanto che non capitava più. Lo strattone – è quello che si sente, quando il gemello etereo decide di mollarti lì nel tuo letto, con tutta la tua pesantezza – è così forte da darti quasi l’impressione che qualcuno ti stia strappando a viva forza da te stesso, afferrandoti per il cuore. Ti strappa via la polpa che ti rende vivo e lascia in questo mondo un guscio vuoto, con tutti i suoi problemi meschini di nutrimento, di giunture cigolanti, di usura del tempo, di espulsione di rifiuti, e tu diventi due, da un lato guardi con ribrezzo quell’abbozzo mal riuscito che è rimasto laggiù, e dall’altro guardi ammirato la pura energia che sei sempre tu, e si libra in volo oltre ciò che è dato sentire nella vita di tutti i giorni.
L’unico problema è la memoria: troppo pesante quella del plantigrado per poter essere sostenuta dal doppio, troppo stupefacenti le esperienze del gemello per poter essere codificate negli schema cerebrali del corpo pesante. Così ho ricordi solo confusi dei luoghi in cui sono stato questa notte.
Se mi concentro, sento su tutto il corpo una straordinaria freschezza, come essere volato nella brezza di una notte estiva calda, caldissima, ed essere io stesso quell’unica bava di vento rinfrescante. E affiorano le stelle, migliaia e migliaia in un cielo limpido, mentre in lontananza sento voci allegre, di ragazzi e ragazze che si divertono. C’è una spiaggia, la conosco, è quella che di giorno è piena gabbiani, ma adesso è tutto buio e si vedono in lontananza le luci dei paesi e delle cittadine della costa.
Non tutto è consentito al gemello astrale, adesso per esempio gli piacerebbe mescolarsi con quei ragazzi, giocare, ma non lo può fare, a qualcosa alla fine serve, il corpo pesante. Il ricordo non è limpido, mi pare di avvertire un filo di malinconia. I ragazzi si rincorrono nell’acqua: fanno il bagno di notte, ce n’è qualcuno strano: uno, per esempio, se ne sta in piedi nell’acqua in mutande, tutto impettito, e sopra le mutande indossa la giacca e la cravatta. Altri due sono usciti dall’acqua, corrono insieme verso un maxicocomero che riposa sulla spiaggia, prendono un coltellone da uno zaino, sento netto il rumore della buccia che si spacca – crac – e si gettano sulla polpa impiastrandosi le mani, il viso, e intanto ridono come forsennati. Un po’ più lontano, in acqua, un ragazzo e una ragazza si baciano. Pare tutto bello, pare tutto giusto. Ma allora perché questa sensazione lieve, quasi soave, di malinconia? Solo per non poter partecipare ai loro giochi? Ma c’è qualcun altro, l’etereo lo sente, qualcuno che pure non ha corpo. Sono lì, con il mio doppio astrale, guardano lui e guardano i ragazzi, e pure l’etereo adesso guarda loro. Li guarda e li riguarda e non ci crede – ci sono cose che possono stupire anche una creatura di pura energia – ma deve arrendersi all’evidenza: la ragazza che bacia il ragazzo con i capelli rossi è là, nell’acqua con il suo ragazzo, ed è pure lì, accanto a lui, che guarda la scena trasognata. E il ragazzo del cocomero, quello che adesso sta scavando con le mani l’ultima polpa rossa, anche lui è là e contemporaneamente qua, solo più serio, e trasparente, quasi stesse per dileguarsi nella notte. E giurerei che quell’altro sono io… Ma io com’ero, quell’io un po’ cretino che però rideva sempre e aveva sempre una parola spiritosa, una battuta fulminante per far ridere gli amici.
Tutti e due, il ragazzo e la ragazza astrali, guardano il mio doppio, e a ripensarci adesso affiora il ricordo di una sofferenza – ma perché lui non riesce a comunicare? Non dovrebbe essere immediato, il contatto tra gli esseri fatati?
Ha capito, il doppio, qualcosa che a me adesso sfugge, colpa della pesantezza, colpa della materia greve… Ma no, stavolta non è così, non posso raccontarmi balle, è solo che mi sembra troppo bello averli visti una volta ancora, è meglio di un miracolo, è oltre ogni cosa abbia osato mai sperare.
E’ che è luglio, e pure il Bardo a mezza estate fece un viaggio folle. Stanotte è toccato a me, nel mese che quei due hanno scelto per il loro lungo viaggio, i primi tra noi tutti a salutare e ad incamminarsi su quella strada buia che si intravede appena, là, dove la spiaggia finisce e inizia la selva. Non ho visto Titania, io, non ho visto il piccolo popolo: Mauro, Carla, quanto mi piacerebbe che questo sogno inventato fosse vero. Vedervi una volta ancora, una volta sola correre di nuovo in acqua come allora, quando la notte era nostra, come sempre è stata e sarà di tutti i ragazzi di ogni tempo, gli unici immortali che calcano il suolo di questo pianeta.
E’ passato tanto tempo, rivorrei appena un po’ di quelle ore esaltanti. Sarà per questo che uno fa certe cose che anni fa non avrebbe pensato, tipo appassionarsi alla telelenovela perenne che è la vita di una nipote adolescente, o addirittura cercare di generare figli. E’ come con il fumo: ho smesso più di un anno fa e mi manca, e dopo il caffè non manco mai di accompagnare Tommaso, il collega che fuma, a fare la sua passeggiata in cortile. Sniffo le volute che si alzano dalla sua sigaretta, e così scrocco un po’ di piacere di ritorno. In questo il corpo astrale mi aiuta molto, fumandosi con piena soddisfazione non meno di tre o quattro sigarette ogni notte. E così, attraverso mia nipote e i cuccioli che sto cercando di traghettare a me, sniffo una robusta dose di gioventù. Ne vorrei altra, di prima mano. Ma il gemello etereo, qui, proprio non è riuscito a fare niente.

giovedì 16 luglio 2009

Se quindici anni vi sembrano troppi (e diciannove allora?)


C’è stata la condanna a 15 anni per il barista e il figlio che qualche mese fa ammazzarono a sprangate un ragazzino di colore di 19 anni che aveva rubato loro un pacco di biscotti. Il Corriere.it dà la notizia e permette ai lettori di commentarla, con i risultati che seguono. Ci sono per fortuna anche moltissime opinioni di segno contrario a quelle del campione che riporto, ma una buona metà, forse appena qualcosa di meno, sono su questo tono. Raggelanti.

Ma come si fa....
16.07|17:42
m.clyde
...ad esultare per una sentenza di condanna di questo genere? Ma come si fa a tirare in ballo il razzismo? Ma come si fa a giustificare la teppaglia che mina il nostro vivere civile, per il quale abbiamo faticato per generazioni? Io sinceramente non capisco. Qualcuno mi aggredisce, viola la mia proprietà, io reagisco per difendere il mio lavoro..... e il mascalzone sono io? E in più sono pure razzista? La realtà dei fatti è differente, c'è stato un furto, c'è stata una reazione, una violenta colluttazione e un disgraziato ci ha rimesso la vita. Punto. Nero o bianco o giallo, non cambia le cose. Se quel ragazzo non fosse entrato a rubare nel negozio, i due negozianti non lo avrebbero mica aggredito!! Se il gruppetto di sbandati (e c'erano anche bianchi, mi pare) non avesse accettato la rissa, non sarebbe morto nessuno. La morte è stata casuale: una bastonata che colpisce un punto vitale. Capita nelle risse. Per questo la gente civile tende ad evitare. Ma naturalmente i mascalzoni se ne approfittano. Ti aggrediscono, ti intimoriscono e fanno i loro comodi. Come cittadini, non lo dovremmo accettare. Chi si difende (salvi i casi di sproporzione tra i mezzi impiegati e non è questo il caso) dovrebbe comunque avere ragione ed il diritto alle attenuanti. A meno che non si voglia accettare la regola che se si viene aggrediti non ci si possa difendere, pena l'essere considerati colpevoli! E' una cosa pericolosa per tutti, bianchi e neri, donne e uomini. Vuol dire lasciare campo libero alla legge del più forte. Pensiamoci....

Solo una domanda...
16.07|17:40
Warin_viggosen
Alla luce dei numerosissimi casi d'immigrati messi in libertà subito dopo aver commesso ogni genere di reato, dal furto all'omicidio, passando anche per lo stupro e lo spaccio, e sempre a danno d'Italiani, siamo certi che se il ladruncolo fosse stato italiano ed i due assassini stranieri (cinesi, arabi, africani, albanesi... ) la sentenza sarebbe stata la stessa? ...La sensazione è che la magistratura infligga le pene con 2 pesi e 2 misure, a seconda dell'appartenenza etnica dei delinquenti e delle vittime: possibile che ogni volta che il carnefice è straniero e la vittima italiana, il criminale non paghi o paghi pochissimo, mentre a parti invertite, il criminale paghi col massimo della pena? ...Se la Giustizia è uguale per tutti, perché questa forma di vera e propria DISCRIMINAZIONE RAZZIALE a danno esclusivo degli italiani?

il problema non è l'episodio in sè, giustamente e severamente punito, ma il clima che si respira. Molti extracomunitari nelle grandi città sono arroganti e prepotenti, chiusi nei loro ghetti di giorno, allo sbando la notte, e gli abitanti non li reggono più, sono stufi dei loro soprusi e della loro maleducazione. Credo inoltre di aver letto che l'ambulante avesse avuto altre rapine e avesse temuto che il ragazzo stesse fuggendo con la cassa e non con un pacco di biscotti. Per inciso i biscotti, uno, pochi o un pacco si dovrebbero pagare, sempre, almeno io faccio così e cosi insegno ai figli. Sarà pur vero che gli immigrati disonesti sono pochi, ma allora mi spiegate perchè nelle carceri il loro rapporto sta dieci a uno nei confronti degli italiani? La pazienza non può stare da una parte sola, gli extracomunitari integrati spieghino ai loro connazionali quali sono le regole del vivere civile in Italia, o temo che la situazione degenererà investendo anche gli onesti.
assurdo....

16.07|17:11 madmax2
criminali rumeni che investono vecchiette x la strada o che violentano nei parchi liberi subito e due signori che si difendono da un furto 15 anni.....siamo al ridicolo davvero
girare alle 5 è pericoloso

16.07|17:11
ambroeus
Che ci sia stato un abuso di violenza è scontato ma che tutti i giorni i nergozianti siano nel mirino di tutta questa gentaglia che pretende di venire in italia e fare i propri comodi è altrattanto vero - i veri razzisti siete voi che continuate a difendere chi per primo non rispetta le regole -
Omicidio Volontario Aggravato: non sono d'accordo

16.07|17:11
degrisy
Ma come si fa a dire che padre e figlio abbiano commesso un omicidio VOLONTARIO? Non e' accettabile!!! A questo punto perche' non considerarla pure associazione a delinquere (erano in due, ma la moglie non e' intervenuta solo perche' stava dormendo). Questi sono i magistrati italiani. Vergogna!
concordo con francescadaoui

16.07|17:11
rasiera
Anche questo avvenimento dimostra una cosa, non possono esistere società multietniche pacifiche. Non lo era la Jugoslavia, non lo sono gli Usa, dove andrà sempre peggio, non lo è la Francia, dove ieri sono scoppiati nuovi disordini nelle banlieus e non lo sarà mai nessuna nazione europea, sicché stop immigrazione, salviamo il nostro futuro.

martedì 14 luglio 2009

mercoledì 8 luglio 2009

La tragedia di un uomo ridicolo

Un ritorno trionfale dopo una brevissima eclissi, un consenso oceanico, un paese innamorato di lui, una luna di miele come nessun capo di governo ha mai avuto: che poteva sperare di meglio? Quello che non è riuscito a noi “poveri comunisti”, come ci ha definito, è riuscito però a lui medesimo: farsi lo sgambetto sulla strada che porta al Colle.
Ci credeva davvero, stavolta. Conoscendo il soggetto ci crede ancora, ma ormai si mette male. Non tanto per puttanopoli in sé, che l’italiano medio un presidente puttaniere lo apprezzerebbe parecchio; più che altro, è l’immagine internazionale che si sta sciogliendo come un murale fatto coi pastelli quando piove. E lui urla al vento la sua disperazione, è il megacomplotto dei poteri forti del mondo contro uno del popolo che si è fatto da sé: Murdoch, Obama, la Merkel, il Financial Times, The Guardian, Zapatero, la Spectre, il dottor Destino e Superpippo, tutti contro Silvio.
Però, purtroppo, se uno vuole fare lo statista non è che può prescindere proprio del tutto dal contesto internazionale in cui è collocato il suo paese. La tentazione dell’autarchia è forte, e quasi incoraggiata da un popolo che non si è mai distinto per eccesso di internazionalismo; la via di fuga da questo lato, però, forse è troppo pericolosa anche per uno rotto a tutti i colpi di mano come lui: uscire dall’euro e dall’Europa, ridurre definitivamente il paese in miseria e tagliarlo fuori dai sentieri maestri della Storia per i prossimi cinquanta anni. Ai contemporanei riusciresti pure a darla a bere, perché degli italiani non c’è da fidarsi troppo e sarebbero disposti a seguirti anche in questa follia, come già settanta e passi anni fa osannarono le invettive del Duce contro la perfida Albione. Ma i posteri? E’ così che vuoi essere ricordato, Silvio? No, tu vuoi il tuo mezzobusto nella galleria dei padri della patria, e meno male, alla fine sarà la tua megalomania la nostra unica speranza di salvezza. Anche se non sono del tutto sicuro che non vada a finire male, magari non per tua esplicita iniziativa, ma perché qualcuno ti farà il regalo di pregarci gentilmente di accomodarci fuori. Ma se nessuno ti farà la grazia, il tuo destino è segnato: all’apice del successo e contemporaneamente al tramonto, pugnalato da te stesso, impotente e accidioso di fronte allo specchio che restituisce l’immagine del puttaniere, e non dello Statista. Eppure ho fatto quindici anni di storia italiana, eppure mi amano a milioni…
Deve essere brutto davvero: passi una vita a cercare di evadere da te stesso – brutto, piccolo e cafone -, sali sulla scala del potere arrampicandoti su sacchi di soldi impilati, non potendo svettare per evidente carenza di phisique du role riesci ad abbassare il livello di un popolo intero pur di emergere un pochino al di sopra (quel tanto che ti permettono i rialzi delle scarpe), solo per accorgerti che nemmeno così potrai essere universalmente amato. Ah, fossi nato cinquant’anni prima! Ma oggi no, isolare tutto il paese, ma proprio tutto, al tempo di internet… non è fattibile. Non si può fare in Iran, figurati qui. Chi guarda fuori è minoranza vessata, irrisa, sbeffeggiata, silenziata perfino, ma c’è. E ti restituisce impietosa l’immagine ridicola che vede negli occhi di chi ti osserva da fuori i confini. Non puoi isolare l’Italia come vorresti, tuo malgrado siamo nel mondo e non possiamo chiuderlo fuori. E nel mondo il tuo canto ipnotico risuona per la cacofonia che è e non incanta nessuno: quelli hanno orecchio e cultura musicale molto superiore a quella degli italioti. E così, Silvio, non ti resta che guardarti allo specchio: c’eri quasi riuscito, ma ciò che davvero sei ti ha impedito di spiccare il volo. Forse, chissà, il tuo inconscio ha voluto impedirtelo. Forse c’è in te una parte più onesta di quanto tu stesso mai avresti voluto, ed è stato questo improvvido grillo parlante che, non potendo ricondurti alla ragione, pur di fermarti ti ha spinto al passo falso. Non hai saputo contenerti, non hai saputo usare discrezione, solo quella è la differenza tra te e puttanieri sublimi come Mitterand, come JFK, che forse ne hanno fatte di peggio delle tue, ma avevano classe da vendere. E (last but not least) le donne non le pagavano ed erano pure statisti veri. Peccato, Silvio: ad un passo dalla vetta, hai perso la maschera ed è apparso il volto del satiro. Poi magari in vetta qualcuno ti ci porterà lo stesso, ma non sarà la stessa cosa. Nella Storia ormai ci sei, ma non so se puoi esserne davvero felice. Il controllo spasmodico che eserciti oggi sulla parola detta e scritta, quello stesso controllo che già mostra di soffrire la distanza di quegli organi internazionali a cui non puoi mettere la sordina, come potrà mai reggere al tempo? Cosa si penserà di te, quando non sarai più qui? Il tuo incubo è un libro dalle pagine tutte bianche, in attesa della penna che lo vergherà con la tua storia che ormai in gran parte è già scritta e ti condanna. E non ti rimane più molto spazio per cambiarla, il tuo tempo è già molto in là, quello che sei non potrai esserlo ancora molto a lungo. Erano altre le cose che avresti voluto scrivessero di te, ma ormai è troppo tardi per cambiare il corso di quelle penne future. Tu provi ad eternare il tuo controllo proiettandolo disperatamente nel futuro attraverso una cultura di massa imbarbarita, ma un giorno verrà qualcuno che finalmente si sentirà libero, e parlerà! Pensa, Silvio: che si dirà di te, tra cinquant’anni?

martedì 7 luglio 2009

Preti che hanno ancora qualcosa da insegnare

Signori, chapeau!

Don Paolo Farinella, prete e biblista della diocesi di Genova, ha scritto al Cardinal Bagnasco (suo vescovo, oltre che presidente della Conferenza Episcopale Italiana). La lettera mi è giunta da Cristiana, ma circola in rete da parecchi giorni. Parla di Puttanopoli e molto altro. E mostra come anche nella Chiesa italiana qualcuno con la schiena veramente diritta c'è ancora. E anch'io, agnostico e razionalista lontano mille miglia dal Cattolicesimo, mi sento in dovere di rendergli omaggio.



Lettera al Cardinal Bagnasco
di don PAOLO FARINELLA



Egregio sig. Cardinale,

viviamo nella stessa città e apparteniamo alla stessa Chiesa: lei vescovo, io prete. Lei è anche capo dei vescovi italiani, dividendosi al 50% tra Genova e Roma. A Genova si dice che lei è poco presente alla vita della diocesi e probabilmente a Roma diranno lo stesso in senso inverso. E’ il destino dei commessi viaggiatori e dei cardinali a percentuale. Con questo documento pubblico, mi rivolgo al 50% del cardinale che fa il Presidente della Cei, ma anche al 50% del cardinale che fa il vescovo di Genova perché le scelte del primo interessano per caduta diretta il popolo della sua città.

Ho letto la sua prolusione alla 59a assemblea generale della Cei (24-29 maggio 2009) e anche la sua conferenza stampa del 29 maggio 2009. Mi ha colpito la delicatezza, quasi il fastidio con cui ha trattato – o meglio non ha trattato – la questione morale (o immorale?) che investe il nostro Paese a causa dei comportamenti del presidente del consiglio, ormai dimostrati in modo inequivocabile: frequentazione abituale di minorenni, spergiuro sui figli, uso della falsità come strumento di governo, pianificazione della bugia sui mass media sotto controllo, calunnia come lotta politica.

Lei e il segretario della Cei avete stemperato le parole fino a diluirle in brodino bevibile anche dalle novizie di un convento. Eppure le accuse sono gravi e le fonti certe: la moglie accusa pubblicamente il marito presidente del consiglio di “frequentare minorenni”, dichiara che deve essere trattato “come un malato”, lo descrive come il “drago al quale vanno offerte vergini in sacrificio”. Le interviste pubblicate da un solo (sic!) quotidiano italiano nel deserto dell’omertà di tutti gli altri e da quasi tutta la stampa estera, hanno confermato, oltre ogni dubbio, che il presidente del consiglio ha mentito spudoratamente alla Nazione e continua a mentire sui suoi processi giudiziari, sull’inazione del suo governo. Una sentenza di tribunale di 1° grado ha certificato che egli è corruttore di testimoni chiamati in giudizio e usa la bugia come strumento ordinario di vita e di governo. Eppure si fa vanto della morale cattolica: Dio, Patria, Famiglia. In una tv compiacente ha trasformato in suo privato in un affaire pubblico per utilizzarlo a scopi elettorali, senza alcun ritegno etico e istituzionale.

Lei, sig. Cardinale, presenta il magistero dei vescovi (e del papa) come garante della Morale, centrata sulla persona e sui valori della famiglia, eppure né lei né i vescovi avete detto una parola inequivocabile su un uomo, capo del governo, che ha portato il nostro popolo al livello più basso del degrado morale, valorizzando gli istinti di seduzione, di forza/furbizia e di egoismo individuale. I vescovi assistono allo sfacelo morale del Paese ciechi e muti, afoni, sepolti in una cortina di incenso che impedisce loro di vedere la “verità” che è la nuda “realtà”. Il vostro atteggiamento è recidivo perché avete usato lo stesso innocuo linguaggio con i respingimenti degli immigrati in violazione di tutti i dettami del diritto e dell’Etica e della Dottrina sociale della Chiesa cattolica, con cui il governo è solito fare i gargarismi a vostro compiacimento e per vostra presa in giro. Avete fatto il diavolo a quattro contro le convivenze (Dico) e le tutele annesse, avete fatto fallire un referendum in nome dei supremi “principi non negoziabili” e ora non avete altro da dire se non che le vostre paroline sono “per tutti”, cioè per nessuno.

Il popolo credente e diversamente credente si divide in due categorie: i disorientati e i rassegnati. I primi non capiscono perché non avete lesinato bacchettate all’integerrimo e cattolico praticante, Prof. Romano Prodi, mentre assolvete ogni immoralità di Berlusconi.

Non date forse un’assoluzione previa, quando vi sforzate di precisare che in campo etico voi “parlate per tutti”? Questa espressione vuota vi permette di non nominare individualmente alcuno e di salvare la capra della morale generica (cioè l’immoralità) e i cavoli degli interessi cospicui in cui siete coinvolti: nella stessa intervista lei ha avanzato la richiesta di maggiori finanziamenti per le scuole private, ponendo da sé in relazione i due fatti. E’ forse un avvertimento che se non arrivano i finanziamenti, voi siete già pronti a scaricare il governo e l’attuale maggioranza che sta in piedi in forza del voto dei cattolici atei? Molti cominciano a lasciare la Chiesa e a devolvere l’8xmille ad altre confessioni religiose: lei sicuramente sa che le offerte alla Chiesa cattolica continuano a diminuire; deve, però, sapere che è una conseguenza diretta dell’inesistente magistero della Cei che ha mutato la profezia in diplomazia e la verità in servilismo.

I cattolici rassegnati stanno ancora peggio perché concludono che se i vescovi non condannano Berlusconi e il berlusconismo, significa che non è grave e passano sopra a stili di vita sessuale con harem incorporato, metodo di governo fondato sulla falsità, sulla bugia e sull’odio dell’avversario pur di vincere a tutti i costi. I cattolici lo votano e le donne cattoliche stravedono per un modello di corruttela, le cui tv e giornali senza scrupoli deformano moralmente il nostro popolo con “modelli televisivi” ignobili, rissosi e immorali.

Agli occhi della nostra gente voi, vescovi taciturni, siete corresponsabili e complici, sia che tacciate sia che, ancora più grave, tentiate di sminuire la portata delle responsabilità personali. Il popolo ha codificato questo reato con il detto: è tanto ladro chi ruba quanto chi para il sacco. Perché parate il sacco a Berlusconi e alla sua sconcia maggioranza? Perché non alzate la voce per dire che il nostro popolo è un popolo drogato dalla tv, al 50% di proprietà personale e per l’altro 50% sotto l’influenza diretta del presidente del consiglio? Perché non dite una parola sul conflitto d’interessi che sta schiacciando la legalità e i fondamentali etici del nostro Paese? Perché continuate a fornicare con un uomo immorale che predica i valori cattolici della famiglia e poi divorzia, si risposa, divorzia ancora e si circonda di minorenni per sollazzare la sua senile svirilità? Perché non dite che con uomini simili non avete nulla da spartire come credenti, come pastori e come garanti della morale cattolica? Perché non lo avete sconfessato quando ha respinto gli immigrati, consegnandoli a morte certa?

Non è lo stesso uomo che ha fatto un decreto per salvare ad ogni costo la vita vegetale di Eluana Englaro? Non siete voi gli stessi che difendete la vita “dal suo sorgere fino al suo concludersi naturale”? La vita dei neri vale meno di quella di una bianca? Fino a questo punto siete stati contaminati dall’eresia della Lega e del berlusconismo? Perché non dite che i cattolici che lo sostengono in qualsiasi modo, sono corresponsabili e complici dei suoi delitti che anche l’etica naturale condanna? Come sono lontani i tempi di Sant’Ambrogio che nel 390 impedì a Teodosio di entrare nel duomo di Milano perché “anche l’imperatore é nella Chiesa, non al disopra della Chiesa”. Voi onorate un vitello d’oro.

Io e, mi creda, molti altri credenti pensiamo che lei e i vescovi avete perduto la vostra autorità e avete rinnegato il vostro magistero perché agite per interesse e non per verità. Per opportunismo, non per vangelo. Un governo dissipatore e una maggioranza, schiavi di un padrone che dispone di ingenti capitali provenienti da “mammona iniquitatis”, si è reso disposto a saldarvi qualsiasi richiesta economica in base al principio che ogni uomo e istituzione hanno il loro prezzo. La promessa prevede il vostro silenzio che – è il caso di dirlo – è un silenzio d’oro? Quando il vostro silenzio non regge l’evidenza dell’ignominia dei fatti, voi, da esperti, pesate le parole e parlate a suocera perché nuora intenda, ma senza disturbarla troppo: “troncare, sopire … sopire, troncare”.

Sig. Cardinale, ricorda il conte zio dei Promessi Sposi? “Veda vostra paternità; son cose, come io le dicevo, da finirsi tra di noi, da seppellirsi qui, cose che a rimestarle troppo … si fa peggio. Lei sa cosa segue: quest’urti, queste picche, principiano talvolta da una bagattella, e vanno avanti, vanno avanti… A voler trovarne il fondo, o non se ne viene a capo, o vengon fuori cent’altri imbrogli. Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire” (A. Manzoni, Promessi Sposi, cap. IX). Dobbiamo pensare che le accuse di pedofilia al presidente del consiglio e le bugie provate al Paese siano una “bagatella” per il cui perdono bastano “cinque Pater, Ave e Gloria”? La situazione è stata descritta in modo feroce e offensivo per voi dall’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che voi non avete smentito: “Alla Chiesa molto importa dei comportamenti privati. Ma tra un devoto monogamo [leggi: Prodi] che contesta certe sue direttive e uno sciupa femmine che invece dà una mano concreta, la Chiesa dice bravo allo sciupa femmine. Ecclesia casta et meretrix” (La Stampa, 8-5-2009).

Mi permetta di richiamare alla sua memoria, un passo di un Padre della Chiesa, l’integerrimo sant’Ilario di Poitier, che già nel sec. IV metteva in guardia dalle lusinghe e dai regali dell’imperatore Costanzo, il Berlusconi cesarista di turno: “Noi non abbiamo più un imperatore anticristiano che ci perseguita, ma dobbiamo lottare contro un persecutore ancora più insidioso, un nemico che lusinga; non ci flagella la schiena ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni (dandoci così la vita), ma ci arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nel palazzo; non ci colpisce il corpo, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro” (Ilario di Poitiers, Contro l’imperatore Costanzo 5).

Egregio sig. Cardinale, in nome di quel Dio che lei dice di rappresentare, ci dia un saggio di profezia, un sussurro di vangelo, un lampo estivo di coerenza di fede e di credibilità. Se non può farlo il 50% di pertinenza del presidente della Cei “per interessi superiori”, lo faccia almeno il 50% di competenza del vescovo di una città dove tanta, tantissima gente si sta allontanando dalla vita della Chiesa a motivo della morale elastica dei vescovi italiani, basata sul principio di opportunismo che è la negazione della verità e del tessuto connettivo della convivenza civile.

Lei ha parlato di “emergenza educativa” che è anche il tema proposto per il prossimo decennio e si è lamentato dei “modelli negativi della tv”. Suppongo che lei sappia che le tv non nascono sotto l’arco di Tito, ma hanno un proprietario che è capo del governo e nella duplice veste condiziona programmi, pubblicità, economia, modelli e stili di vita, etica e comportamenti dei giovani ai quali non sa offrire altro che la prospettiva del “velinismo” o in subordine di parlamentare alle dirette dipendenze del capo che elargisce posti al parlamento come premi di fedeltà a chi si dimostra più servizievole, specialmente se donne. Dicono le cronache che il sultano abbia gongolato di fronte alla sua reazione perché temeva peggio e, se lo dice lui che è un esperto, possiamo credergli. Ora con la benedizione del vostro solletico, può continuare nella sua lasciva intraprendenza e nella tratta delle minorenni da immolare sull’altare del tempio del suo narcisismo paranoico, a beneficio del paese di Berlusconistan, come la stampa inglese ha definito l’Italia.

Egregio sig. Cardinale, possiamo sperare ancora che i vescovi esercitino il servizio della loro autorità con autorevolezza, senza alchimie a copertura dei ricchi potenti e a danno della limpidezza delle verità come insegna Giovanni Battista che all’Erode di turno grida senza paura per la sua stessa vita: “Non licet”? Al Precursore la sua parola di condanna costò la vita, mentre a voi il vostro “tacere” porta fortuna.

In attesa di un suo riscontro porgo distinti saluti.

Genova 31 maggio 2009
Paolo Farinella, prete

Per chi volesse sapere qualcosa di più su don Farinella (a me sconosciuto fino a pochi minuti fa): http://it.wordpress.com/tag/don-paolo-farinella/

lunedì 6 luglio 2009

Sulla cattiveria

Cattivo! – ti dicevano da piccolo, quando ne combinavi una un po’ peggiore del tollerabile. Ma te lo dicevano pure gli amichetti e le amichette, se esageravi in esuberanza e facevi male a qualcuno, o eri prepotente. Il sottinteso era che essere cattivi è qualcosa di sbagliato, di ripugnante, e bisognerebbe invece sforzarsi di essere buoni.
Non so se tra i pargoli d’oggidì è ancora in voga l’uso di questo aggettivo in chiave di riprovazione; certamente non lo è tra gli adulti, che anzi sembrano apprezzare (ma questo da sempre, per la verità) una certa esibizione di cattiveria per i motivi più svariati: molti ritengono che sia un pregio per i militari, che se cattivi sarebbero più determinati nel combattere il nemico, così come per gli sportivi. Ci sono poi i cantori della natura ferina dell’essere umano, che apprezzano la cattiveria in quanto istinto primordiale e naturale, contrapposto all’essere buoni che sarebbe – secondo loro – una finzione indotta da incrostazioni culturali deteriori (ci metterei molta destra estrema in questa autogiustificazione della violenza). E ci sono quelli che sono cattivi e basta, che non stanno nemmeno a prendersi il disturbo di rivendicarne il diritto e anzi se ne stanno belli coperti, che gli fa più comodo se nessuno se ne accorge, che sono cattivi.
Tutta questa gente, dagli ideologi della cattiveria ai cattivi nella vita quotidiana, c’è sempre stata. Però erano pochi, e se pure erano tanti avevano comunque paura a venire allo scoperto, perché certi della condanna, magari ipocrita ma pur sempre stigmatizzante, della società. Oggi invece assistiamo all’esibizione truculenta e soddisfatta della cattiveria e soprattutto dei cattivi, in un moto catartico collettivo che finalmente li legittima e li libera dalle pastoie scomodissime della buona educazione, della moralità, del patto implicito di civile convivenza tra esseri umani. Che li libera anche dalla legge, che si torce e si deforma per poter assimilare, includere e infine giustificare gli atti di chi alla liturgia della Giustizia preferisce il rito orgiastico dell’ordalia.
Ieri a Roma un rifugiato politico congolese che si guadagna da vivere mettendo la pubblicità nelle cassette postali dei palazzi è stato aggredito nell’androne di un condominio da un tipo che poi, inseguendolo, ha trovato pure due altri complici spontanei, che si sono volentieri aggregati al tentativo di linciaggio improvvisato probabilmente senza neppure sapere perché quell’altro stava inseguendo quella persona. Gli è bastato il colore della pelle per decidere chi aveva ragione e chi torto.
Ma episodi così ormai succedono tutti i giorni e non lo riporterei, se non fosse per la frase surreale che gli hanno urlato nelle orecchie mentre lo pestavano: “Noi facciamo la volontà del Governo italiano”.
Difficile dargli torto: pochi mesi fa il Ministro dell’Interno ha esortato con un certo compiacimento ad “essere “cattivi” nei confronti degli immigrati, per scoraggiarli dal venire da noi. E, coerentemente, ha intrapreso la politica dei “respingimenti” (gente ributtata a morire in mezzo al deserto o, quando va bene, nelle carceri libiche) e ha predisposto un “pacchetto sicurezza” di chiaro stampo razzista, con tanto di ricorso a ronde parafasciste di cittadini “volonterosi” che non si fa fatica a immaginare violenti e, appunto, “cattivi”.
Chi vive in una grande città non può fare a meno di notare l’incremento esponenziale di gente che vive in strada: la voglia di pogrom è rivolta soprattutto ai Rom, Sinti o Kokaranè che dir si voglia, ma ci sono anche tanti altri disgraziati, spesso italiani messi pure peggio dei Rom. Marco Lodoli, nella cronaca di Roma di Repubblica di ieri, osservava come a questi poveracci abbiano tolto pure la possibilità di ripararsi nei corridoi sotterranei della stazione Termini, “bonificati” – è il termine usato per l’operazione – dalla loro presenza manco fossero ratti.
E pure qui: si è sgolato, il sindaco Alemanno, a condannare episodi di violenza razzista come quello descritto prima, ma come si fa a credere a uno che stigmatizza il razzismo con una celtica al collo? E infatti i suoi veri sentimenti sono sotto gli occhi di tutti, scritti nelle facce e sui corpi dei poveracci che vediamo trascinarsi per i marciapiedi. Spesso vittime di violenze che nemmeno denunciano, così che l’impressionante emergere di episodi di razzismo e di gratuita cattiveria è solo la parte visibile di una realtà dalle dimensioni molto, molto maggiori.
Quello che fa veramente rabbia è la vigliaccheria: ci hanno incitato alla cattiveria, ma al coraggio no, e infatti le vittime sono sempre quelli che non si possono difendere: stranieri già terrorizzati dalle forze dell’ordine – e che molto difficilmente, quindi, le chiamerebbero in soccorso – aggrediti in branco; ragazzini vessati per mesi da gang di compagni di scuola perché “sei un frocio”, chiaramente sempre dieci contro uno; gente che vive in strada, affamata e debilitata, picchiata e data alle fiamme da ragazzotti annoiati ipernutriti e tendenti all’obesità.
Se proprio volete essere cattivi, perché invece di prendervela con chi non si può difendere non andate a dimostrare la vostra esuberanza virile a qualcuno di quei ragazzoni africani formato armadio che spesso si incrociano per le nostre strade? Uno contro uno, però. E senza armi.

giovedì 2 luglio 2009

Quando le stelle si spengono


Insomma, fateci capire: lo stile fresco della Serracchiani andava bene finché era artificiale, e non va più bene quando se ne esce con un apprezzamento veramente naive sulla simpatia di Franceschini?
Per chi si fosse perso l’antefatto: Curzio Maltese ha intervistato la Debora facendole delle domande vere, cosa sempre più rara in questo paese; le ha anche chiesto se per caso il tanto invocato coraggio non manchi a lei per prima, che non ha osato lanciare la sfida per la segreteria, preferendo invece appoggiare la corsa del segretario attuale. Lei ha risposto a tutto, in modo convincente o no dipende dai gusti di chi legge, e ha aggiunto alle ragioni “ortodosse” del suo appoggio a Franceschini il fatto che è simpatico, mentre Bersani puzza di apparato come il suo sponsor D’Alema. Ne è nato un fuoco di fila di reazioni scandalizzate, solidarietà al Baffo, richiami alla serietà, rampogne all’ingenuità.
In questa storiella io ci leggo questo: la Serracchiani sta emergendo non grazie al sostegno del partito, ma anzi a dispetto dei notabili. Non può lanciare alcuna sfida perché la sindrome dei giochetti di palazzo non affligge solo i vecchi e i big del partito ma pure i giovani, che invece di andarsi a cercare il consenso sul territorio preferiscono posizionarsi nell’area d’influenza di questo o di quell’altro capobastone, e quindi non l’appoggerebbero. Insomma, questa ragazza si è cacciata in un vicolo cieco: non ha baciato l’anello di nessuno e la sta pagando con l’isolamento. Prova ad uscirne lasciando segnali a chi vuole intendere: dice senza peli sulla lingua da che parte stanno, secondo lei, le responsabilità della disfatta, e chiama in causa l’eterno aspirante Andreotti col baffo, il reuccio dell’inciucio, mai diventato imperatore e però signore di diverse centinaia di migliaia di tessere. Come dire: io mi espongo, vi dico da che parte sto, vediamo se qualcuno vuole combattere questa battaglia. La risposta è desolante: un linciaggio politico.
L’intera classe dirigente del PD si è chiusa come un sol uomo non appena è stato toccato uno dei suoi mammasantissima, difeso anche da gente che volentieri se lo impalerebbe davanti all’uscio di casa come trofeo: il Baffo è cosa loro, guai se a cucinarselo ci prova una parvenu.
Io il PD non lo voto e quindi il mio interesse è relativo, ma se Franceschini non vince nettamente il congresso il destino di questo partito è segnato: la Serracchiani e le altre poche meteore che sono sfilate in un momento di provvidenziale eclissi delle stelle fisse di quel cielo plumbeo scompariranno sotto l’orizzonte, nella stessa notte che sei anni fa inghiottì Cofferati (che pure proprio estraneo all’apparato non era). Alla Debora sono saltati alla gola in cinquanta per farle fare la figura della cretina: se si impugna come una clava l’unica battuta poco felice di un’intervista - per il resto ineccepibile - vuol dire che quella persona la si stava aspettando al varco.
la Serracchiani, insomma, invece di essere apprezzata per i consensi che ha raccolto, si è fatta un sacco di nemici tra chi da quel successo si sente minacciato. Ma come fa una a diventare leader se non c’è un gruppo disposto a riconoscerla come tale? Ha detto una cazzata? Forse. Ma se ci fosse stata la volontà di farla crescere e affidarle delle repsonsabilità, quella cazzata non sarebbe diventata il fulcro di tutte le reazioni alla sua intervista. Anzi, presto sarebbe stata dimenticata e lei portata in gloria. Del resto, basta guardare come fanno dall’altra parte: il Berlusca e la sua compagnia di saltimbanchi sono cazzari seriali, ma c'è un plotone intero di colonnelli che stanno lì ad affannarsi per coprire, minimizzare, smussare, insabbiare; mica per sputtanarli. Ma le stelle del cielo del PD persistono imperturbabili nella loro orbita fissa, e dal vuoto che avvolge i loro moti siderali scrutano la Terra lontana. Non si lasceranno staccare, da quel cielo, come dalla carta azzurra che fa da sfondo ai presepi: il destino che gli è toccato in sorte se lo vivranno fino in fondo, fino all'ultima scintilla del loro lunghissimo, malinconico tramonto. Dopo il quale resterà soltanto il buio.

mercoledì 1 luglio 2009

Se non leggo quello che scrivo...

Molta della gente che tiene un blog è semplicemente malata di egotismo, e i gattopuzzi non fanno eccezione.
Ormai lo faccio da più di un anno, e più passa il tempo più mi convinco che ci vuole una buona dose di presunzione per ritenere che quello che uno sbrodola sulla carta – pardon, sulla tastiera - possa essere di un qualche interesse per qualcuno. Il fatto è che nell’era della paleoscrittura occorreva passare una dura selezione per scrivere coram populo, perché si doveva farne una professione e quindi era necessario che qualcuno investisse su di te; adesso basta che ti apri un blog e puoi tentare la fortuna, spari un colpo e speri di far centro. Il pensiero sottinteso è: adesso vi faccio vedere io come si scrive e quali sono le cose importanti di cui parlare. In realtà non è che nell’era internettiana sia cambiato granché: anche il blog, per diventare qualcosa di più di un vomitatoio personale, deve avere le qualità per sfondare. Lo sbocco logico di questo discorso è che uno non si può lamentare se si trova con venti lettori (anzi no: venti visite, che mica tutti quelli che arrivano leggono davvero) al giorno, oltre la metà dei quali ti hanno raggiunto in questo anfratto remoto della rete con chiavi di lettura come “cazzo animale” e “polizziotta sexi”. E’ un bel bagno di umiltà, che male non fa mai. E poi uno aggiusta il tiro: alla fine mi sono accorto che in realtà non me fregava proprio niente già dall’inizio, di avere orde di lettori. E’ divertente così, ti fai un diario che altrimenti non faresti, tessi un filo che lega tra loro momenti diversi della tua vita, magari tra qualche anno ti sorprenderai a rileggerti e a ridere di come sei cambiato. E poi tieni in esercizio la penna e anche la testa. Come disse una volta un famoso giornalista americano adducendo uno sciopero per declinare l’invito ad un talk show, che con lo sciopero non c’entrava niente, se non leggo quello che scrivo, come faccio a sapere quello che penso?